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I Viceré

Regia di Roberto Faenza vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su I Viceré

di giancarlo visitilli
4 stelle

Sarà per il clima politico non entusiasmante che stiamo vivendo in Italia, per l’incoronazione di nuovi ‘vice’ (a chi?) ‘ré’ a capo di partiti di nuova fattura o per l’arretramento socio-politico-culturale in cui stiamo annaspando tutti, ma ancora una volta anche a cinema (specie se si tratta di quello nostrano) la lingua che si parla è sempre più incomprensibile.
Non solo a causa di “actor-fictioner” (Alessandro Preziosi), che sembrano usciti direttamente dalla fabbrica di “giochi preziosi”, ma soprattutto ad opera di sceneggiatori che (non si può spiegarlo diversamente), evidentemente risentono fortemente del cattivo clima. Per cui fa freddo, anche “al cinema fa freddo” (titolo di un bellissimo libro del grande Giuseppe Marotta).
Peccato che anche nel caso di autori come Faenza (Jona che visse nella balena, Alla luce del sole) si stia verificando la stessa cosa, ormai già dal penultimo e penoso I giorni dell’abbandono.
Non basta l’abile operazione d’immagine per fare un buon film. Più grave si fa la cosa, nel caso di coloro che tra i fortunati hanno letto il capolavoro dello scrittore partenopeo, Federico De Roberto, testo edito nel 1894, da cui è stato tratto il film, perché in tal caso si avverte la doppia sofferenza di aver utilizzato un ottimo testo, con al centro la controversa storia di una famiglia, quella degli Uzeda, ai tempi dell'unità d'Italia, per un’operazione cinematografica che fuorvia, visto che il film di Faenza si riduce ad essere il vecchio racconto di un’Italia politica che ancora ci appartiene. Questo non può giustificare la strumentalizzazione di un mezzo alto (il cinema) per mettere a nudo la triste verità che c’è una mancanza di differenze programmatiche sostanziali tra destra e sinistra. Vabbene la nascita del Pd, vabbene la vicinanza politica fra fascisti e leninisti, ma tutto ciò che c’entra con il cinema e con il romanzo di De Roberto? Perché Faenza non ha scelto l’indirizzo dei girotondini, come altri cineasti? Avrebbe goduto di maggiore stima, lui che di film belli e utili in Italia ne ha fatti abbastanza.
In rapporto a ciò ci viene da pensare che, se anche Rossellini era uscito sconfitto dal confronto con la grossa mole del testo di De Roberto, un motivo ci doveva pur essere.
Inspiegabile, a salvare le sorti del film ci pensa solo il bravissimo Lando Buzzanca, fra due fictionari della peggior specie (insieme a Preziosi la Capotondi). A tal riguardo, stupendoci di noi stessi, abbiamo avvertito la mancanza di uomini come Benedetto Croce, fra i pochissimi capaci di stroncare ferocemente lo straordinario romanzo di De Roberto: se avesse visto questa messa in scena al cinema, forse avrebbe proposto la riapertura dell’Inquisizione.
Intanto a noi, alla fine della visione, resta quello che lo stesso autore del libro ha scritto più di un secolo fa: “Tutto cambia perché tutto resti uguale”. Quindi, a che serve ‘sto film?
Giancarlo Visitilli

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