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L'uomo di vetro

Regia di Stefano Incerti vedi scheda film

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La recensione su L'uomo di vetro

di lamettrie
8 stelle

Un buon film sul secondo pentito di mafia italiano, Leonardo Vitale, il primo “moderno”, cioè di età repubblicana. Qualche difetto ce l’ha: talvolta è televisivo. Ma a un giudizio negativo si oppone la crudezza della resa realistica, che offre diversi brani di storia: la descrizione della sua malattia mentale, e di come è stato trattato negli anni ’70-’80, sia in carcere che in manicomio, nonché della efferatezza dei delitti di mafia.

Altro difetto: non è tanto credibile che un mafioso, affiliato e già pluriomicida come il film mostra, possa condure una vita relativamente anonima  e tranquilla come quella che allo stesso modo il film mostra.

In ogni caos, il pregio del film sta nella sottolineatura psicologica: rendersi esecutori di crimini non può che far vivere male, in modo insopportabile. Perciò questa testimonianza, presa dalla biografia scritta da  Salvatore Parlagreco, conserva un alto valore educativo. Infatti la decisione di essere pentito scaturisce non da una comodità (che altri purtroppo hanno sfruttato), poiché da allora è “un morto che cammina”, come dice suo zio. Ma proviene da una vera vocazione: quella della propria coscienza, che non può tollerare più i rimorsi. Quest’analisi delle emozioni, così profonda e così determinante per l’esistenza,  merita grande rispetto al film. Effettivamente tale vocazione dipende dalla conversione religiosa del mafioso: che fu reale, con tutte le sue stranezze agli occhi altrui (memorabile la frase: «Avvocati? Non ne ho bisogno. C’è Dio che mi difende»). Conversione che lo spronò a fare realmente dei gesti straordinari: sia perché metteva a  repentaglio la vita sua e dei suoi famigliari (infatti la mafia poi realmente lo uccise, appena poté); sia perché ha offerto alla giustizia straordinarie notizie vere, di quelle che sin lì i magistrati (almeno quelli non corrotti, quindi non tutti) si potevano solo sognare. Un arsenale enorme per la conoscenza della mafia, corredato da nomi, e dei più pesanti, compresi quelli dei grandi corrotti nelle istituzioni (Ciancimino e il grosso della Democrazia Cristiana isolana…).

Colpisce la solitudine in cui si trova Vitale, quando vuole fare il bene della collettività: costretto a diventare pazzo, perché ai potenti criminali conviene che lui sia pazzo, e perciò meno credibile in quanto teste. E tutta la società conferma la sua sottomissione ai mammasantissima, proprio nell’isolare lui e la sua famiglia. Commuovente è il suo rapporto con la famiglia medesima, e con la sorella (la bellissima Ilenia Maccarrone, su cui si staglia, in modo sotterraneo, alla perfezione, l’incesto; il film ha ombreggiature psicologiche notevoli), per come amano Leonardo, specie nella sua psicopatia. La quale è richiesta dalla mafia, nel momento in cui si dice la verità; pazzia che è inevitabile condizione esistenziale, per chi decide di prosperare sul coerente, intenzionale e costante crimine contro altri.

Menzione d’onore per Toni Sperandeo, straordinario nei panni del piccolo boss di mafia, che deve tenere assieme la famiglia, valore altissimo in Sicilia e per Cosa nostra (pur nella contraddittorietà di tale morale, portata avanti da un assassino seriale).

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