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L'uomo di vetro

Regia di Stefano Incerti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'uomo di vetro

di hallorann
8 stelle

Gaetano Sperandeo, meglio noto come Tony, è uno dei migliori caratteristi italiani. La sua prima apparizione cinematografica importante è stata in PIZZA CONNECTION di Damiano Damiani, film sulla mafia ambientato nella sua Palermo: scheletrico (all’epoca), nervoso, minaccioso e dalla parlata inconfondibile. Così si presentava nel 1984. Da allora ha interpretato decine di parti, spesso, nei panni del mafioso, ma non sono mancati i ruoli brillanti e positivi. Ha lasciato il segno in MERY PER SEMPRE come spietata guardia carceraria; IL MURO DI GOMMA; NEL CONTINENTE NERO come sacerdote schietto e verace. Tutti diretti da Marco Risi. Il ladro pasticcione e pavido de I MITICI di Carlo Vanzina; agente di scorta destinato a morire ne LA SCORTA di Ricky Tognazzi; camionista dal cuore d’oro in VESNA VA VELOCE di Carlo Mazzacurati; Tano Badalamenti ne I CENTO PASSI di Marco Tullio Giordana. Forse la sua migliore performance. Certo, talvolta, se diretto male o lasciato senza freni deborda e va sopra le righe come nei televisivi ULTIMO e L’ATTENTATUNI. Nella ricostruzione de IL SEQUESTRO SOFFIANTINI di Riccardo Milani interpreta con bravura il carceriere Farina, ma (per colpa del regista) alterna, imperdonabilmente, la cadenza sarda a quella naturale di siculo. Nella collaudata fiction di Raitre LA SQUADRA il suo ingresso nei panni di un poliziotto ruvido e onesto ha risollevato gli ascolti, tanto da essere confermato in tutti i seguiti successivi compresa l’ultima serie apparsa nei mesi scorsi. Ne L’UOMO DI VETRO è Titta Vitale, zio del protagonista Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia. Sperandeo, armato di baffi e occhiaie abissali, impersona con misura e sicurezza un mafioso lontano dagli stereotipi e dall’enfasi delle fiction. Le identiche caratteristiche vanno ascritte anche alla pellicola diretta da Stefano Incerti. Primi anni settanta, Leonardo è un bravo ragazzo protetto dallo zio e benvoluto dagli altri affetti familiari (madre, sorella e fidanzata). Arrestato per un equivoco, finge di essere pazzo per paura di ritorsioni mafiose. In realtà, dietro un apparente normalità, nasconde lo status passato e presente di mafioso. Denunciando nomi (compreso l’amato zio), organigrammi e famiglie d’appartenenza precipita in uno stato di instabilità psichica. Ritrattazioni e nuovi pentimenti si susseguiranno. Nonostante l’attendibilità delle sue rivelazioni, verrà ritenuto pazzo e condannato a dieci anni di manicomio giudiziario. Al termine della pena verrà ucciso per non causare ulteriori danni. L’UOMO DI VETRO è interamente imperniato sulla figura di Vitale (interpretato con passione da David Coco): i dubbi e le crisi di coscienza, la fragilità mentale annientata e devastata dalla potenza persuasiva e sotterranea della mafia. Il merito maggiore del film sta proprio nell’aver raccontato con efficacia e realismo quest’ultimo aspetto. Per il resto i modelli a cui si richiama il regista sono il cinema di denuncia e impegno civile e i risultati sono stati più che dignitosi.

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