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Rincorsa

Regia di Lucas Belvaux vedi scheda film

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La recensione su Rincorsa

di joseba
8 stelle

Bruno (Lucas Belvaux), ultimo membro di "Armée Populaire", gruppo eversivo di estrema sinistra fondato quindici anni prima, evade dal carcere e si reca a Grenoble dove intende contattare le vecchie conoscenze per riprendere la lotta armata. Ma tutto è cambiato: nessuno vuole saperne più di politica e le nuove dinamiche del milieu sono dominate dal traffico di droga. Persino Jeanne (Catherine Frot), militante di vecchia data attualmente coniugata e madre di un bambino, si rifiuta di spalleggiare il compagno evaso. Casualmente, aiutando Agnès (Dominique Blanc), una tossica moglie di un poliziotto, Bruno trova una complice che gli fornisce un nascondiglio sicuro e informazioni preziose. Secondo capitolo di una trilogia che comprende la commedia "Una coppia perfetta" e il melodramma "Dopo la vita", "Rincorsa" (traduzione approssimativa di "Cavale", "latitanza") è un vero e proprio "survival polar". Quella di Bruno è la storia di una feroce, disperatissima solitudine: politica, morale e fisica. Relitto della lotta armata che nei quindici anni di detenzione ha nutrito il progetto rivoluzionario fino a separarlo totalmente dalla realtà, Bruno non è disposto a scendere a patti con il nuovo contesto che si trova di fronte, contesto fatto di individualismo estremo, difesa col coltello tra i denti dei privilegi privati e delazione sistematica. Messo con le spalle al muro dall'indifferenza generalizzata, Bruno mente agli altri (racconta fregnacce a Jeanne per coinvolgerla di nuovo nella lotta armata) e a se stesso nel disperato tentativo di non sentirsi drammaticamente, irrecuperabilmente solo ("La vita non vale niente, è quello che ci si fa che vale qualche cosa", sentenzia a Jeanne che gli consiglia saggiamente di salvare la pelle). Ma è solo. L'unica persona che gli dà una mano è Agnès, una tossica coniugata con un ispettore di polizia che fino ad ora le ha procurato regolarmente la roba ma che adesso non la rifornisce più. Bruno la salva da un'overdose e si prende cura di lei, ricevendo in cambio un aiuto che niente a che fare con la politica o con gli ideali, ma si basa sulla convenienza reciproca. Un patto di mutua assistenza tra sbandati, emarginati, rifiuti viventi. Appiccicata al corpo mutante di Bruno (per tutto il film non fa che cambiare aspetto e travestimenti), la cinepresa registra scrupolosamente le fasi della sua latitanza senza disdegnare tuttavia misurati allargamenti a episodi collaterali (l'interrogatorio di Jeanne, i suoi tormenti domestici, le contromosse del boss Jaquillat). Col passare dei minuti tuttavia il film abbandona ogni prospettiva alternativa a quella di Bruno per seguire con fenomenologica esattezza la sua parabola dal tenore candidamente suicida. Di grande fascino il commento musicale "mentale" di Riccardo Del Fra, marcato dalle note vibranti del contrabbasso. Visto separatamente dagli altri capitoli della trilogia, "Cavale" è un polar minimale che cresce inesorabilmente; inserito nel trio concepito da Belvaux, si tramuta nella tessera rosso sangue di un sontuoso e avvolgente mosaico cinematografico.

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