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Centochiodi

Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film

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La recensione su Centochiodi

di scapigliato
8 stelle

Magari avrete visto “Bad Boys”, vi sarete esaltati con “Fast and Furios”, vi sarà schizzata l’adrenalina con “300”, ma forse non vi sarete sentiti così vivi, liberi e semplicemente voi stessi come con “Centochiodi” e con tutto il cinema del Maestro Ermanno Olmi. Con il 2007 esce quello che lui ha già detto essere il suo ultimo film di messa in scena per poter tornare al documentario con cui esordì più di cinquantanni fa. Signori, se “Cantando Dietro i Paraventi” lasciava senza fiato, “Centochiodi” è il grande capolavoro che il fiato te lo spezza con il pianto. Difficile non commuoversi con quel fiume, il Po, gonfio di acqua che sembra che viva e pieno di pesci siluro “tirati giù” che sembrano mostri marini di un’atavica leggenda popolare. Difficile non sorridere e provare vera tenerezza per quegli anziani semplici che parlano il dialetto mantovano o per quella panettiera sgraziata (è già cult l’immagine di lei in motorino a braghe aperte) che ti impressiona per la sua anima rurale e sconfinatamente dolce. Difficile non arrabbiarsi e non stringere il pugno con rabbia davanti agli esposti di sgombero dei vecchi del fiume, come davanti all’ottusità medievale del vecchio monsignore. Difficile infine, non provare un brivido nelle scene di puro gotico padano in cui ruspe, elicotteri, motoscafi e imbarcazioni sono esseri mostruosi che sbucano leggeri da un altrove mitico. L’ultimo film di Olmi è il testamento più bello di un regista cattolico, così come “La Divina Commedia” è “il più gran libro scritto da un cristiano” (Vittorio Sermonti).
Ho sempre creduto che i film di Olmi, e confesso che non gli ho visti tutti, siano dei film in cui, qualunque storia raccontino, sia rintracciabile in loro quello che io definisco il “dialogo con il Cristo”: cifra autoriale di Ermanno Olmi, il Maestro a cui ho avuto l’onore di stringere la mano. Olmi ha sempre teso alla spiritualità, e le immagini dei suoi film lo confermano, sia rifacendosi esplicitamente ai Vangeli come in “Cammina Cammina”, o solo parafrasandoli come in “La Circostanza”, oppure implicitamente trattando temi come la guerra e la pace, l’odio e il perdono in film come “Il Mestiere delle Armi” e “Cantando Dietro i Paraventi”. Ma oggi, grazie a questo “Centochiodi”, film di un’urgenza impellente quasi fisiologica, siamo di fronte al ritorno cristiano alla casa del padre. Come il protagonista, il Professorino di Raz Degan, lascia tutto e va a vivere in una catapecchia in riva al Po, anche Olmi ci invita di cuore a considerare realmente il ritorno al primitivo, il ritorno alla natura, il ritorno all’essenziale. Va detto inoltre, che l’attore israeliano, Raz Degan, grazie alla misura con cui Olmi l’ha diretto risulta un personaggio così profondo in cui è facile perdersi nel suo sguardo. Un po’ pedante nella recitazione, ma siamo sempre di fronte ad un fiaba olmiana, che per natura è raccontata con semplicità di linguaggio. Un personaggio, quindi, il Professorino, che nella purezza della sua figura (Degan è bello, non si può nascondere), non solo ricorda Gesù, ma anche l’uomo etico per antonomasia che è poi lo stesso Olmi, qui in veste di “poeta rivoluzionario”. Infatti, l’atto ribelle, eversivo, pericolosamente iconoclasta del protagonista, che inchioda nella biblioteca bolognese le sacre scritture, è politicamente, culturalmente ed eticamente un atto di ribellione verso la grave ingerenza della Chiesa nella vita politica e civile del nostro paese. “Centochiodi”, con la sua fotografia poetica che rende lirico e fantastico il quotidiano più contadino e più terrigno che c’è, con il suo strutturarsi in giustapposizioni fiabesce, e di fiabesco è tutta la concezione madre del film, con tutta questa pura e semplice poesia degli umili, “Centochiodi” si siede orgoglioso davanti ad un Papa, Ratzinger, e alla sua chiesa neo-con (che prendo dal pericoloso e illiberale e disumano neo-conservatorismo di Bush), senza avere per le palle di spostarsi di un solo centimetro. “Centochiodi” è la prima vera, popolare, diretta, opposizione artistica alla Chiesa della dottrina militante, che pensa di più alla dottrina che alla fede, e che non considera l’uomo in quanto tale nella sua vita, ma preferisce definirne e governare i valori. É davanti agli occhi di tutti che siamo arrivati in un periodo storico di “Chiesa manichea”, intollerabile per un vero cristiano. E il Maestro non si risparmia. Attacca le autorità, le istituzioni e la Chiesa, e lo fa con la bontà d’animo di un piccolo bambino di campagna. Il ritorno all’essenziale è di conseguenza l’antidoto a questa impostazione dall’alto, a questo indirizzo moralistico in cui l’uomo non è più un essere pensante, ma un vassallo di un potere feudale che credavamo scomparso per sempre.
Ben prima di vedere “Centochiodi” avevo invitato, in un mio articolo, a riconsiderare Gesù Cristo come uomo storico, e non come il Dio degli altari e degli incensi, ingabbiato in dottrine che l’uomo ha scelto per lui. Nella Palestina di Gesù, gli anni 700 dalla fondazione di Roma, c’erano numerosi predicatori e profeti che vagabondavano le terre predicando stili di vita salvifichi. Se tra tutti è stato Gesù Cristo ad arrivare fino ai nostri giorni un motivo ci sarà. Ciò che predicava lasciava la gente piena di speranza, riusciva ad esaltare anche i più deboli, i più umili e i più disperati. Miracoli a parte, Gesù il Nazareno aveva saputo rivoluzionare il pensiero imperante che la società del tempo imponeva. Morto Gesù, i suoi seguaci e i suoi discepoli ne sentirono la mancanza. Veniva a mancare una guida forte alle loro anime. Qui nasce il culto. Se dei tanti Vangeli esistenti ne sono stati scelti quattro è probabile che siano stati scelti perchè quei testi apparivano dottrinalmente conformi all’ortodossia che le Chiese avevano in quel momento. Invece noi, oggi, abbiamo completamente dimenticato questo piccolo particolare: l’interpretazione. Gesù era ebreo e rispettava i precetti ebraici. Eppure gli ebrei interpretano le scritture in un modo e i cattolici in un altro. Perchè? Se è l’unico Gesù? Perchè ogni forma di collettività tende a creare regole comuni per il quieto vivere. E quindi nascono così i vari indirizzi confessionali, diversi da interprete ad interprete. Questo ha provocato il più grande scandalo della storia della religione e dell’umanità, ovvero dimenticare il Gesù Cristo uomo storico. Da qui, tutti i mali e le aberrazioni che conosciamo, e che il Maestro Ermanno Olmi ha messo in chiaro con questo suo capolavoro.
Il suo Cristo, con cui dialoga in ogni suo film, e del quale dice essere il suo miglior amico, è un Cristo primitivo, che segue i ritmi della natura, piace alle donne e ci balla insieme. Ma piace pure agli uomini, che lo aiutano a costruirsi la casa e con cui bevono del buon vino. Un padre che ha perso il figlio si fa raccontare dal Gesù Cristo di Olmi la parabola del figliol prodigo. E nella fissità, nella natura realistica della messa in scena, e della delicatezza dello sguardo registico di Olmi, non possiamo che vedere e confutare la concrezione dello spirito cristiano. “Centochiodi” è così un film che porta lontano. Come dice uno dei vecchi uomini del Po “i fiumi portano lontano”, ed è così che siamo accompagnati dalla fede più umana in un itinerario cinematografico che ha l’allegria di Fellini, i silenzi di Leone, lo sguardo contemplativo di Herzog. Unisce Dostoevskij alla vita di Gesù, ed il risultato ha un solo nome: capolavoro.

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