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Requiem

Regia di Hans-Christian Schmid vedi scheda film

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La recensione su Requiem

di degoffro
8 stelle

Curioso constatare come il tedesco "Requiem" di Hans-Christian Schmid e l'americano "The exorcism of Emily Rose" di Scott Derrickson siano ispirati al medesimo tragico episodio avvenuto in Germania negli anni settanta: Anneliese Michel è morta il 1° luglio 1976, il processo si è tenuto nel 1978, i due sacerdoti e i genitori sono stati accusati di omissione di soccorso e sono stati condannati a sei mesi ai servizi sociali. Quale differenza di prospettive e di sguardo, però. Derrickson confeziona il consueto, enfatico, effettistico e telefonato horror "alla esorcista" senza aggiungere nulla di nuovo a quanto già detto da Friedkin nel suo classico del 1973. Schmid e lo sceneggiatore Bernd Lange invece, evitando con saggezza i ripetuti ed arcinoti dettagli "da paura" sulle presunte possessioni di Michaela, si concentrano sul dilaniante dramma personale ed interiore di una ragazza cresciuta in un ambiente fortemente bigotto, austero ed ottuso che ne ha condizionato in modo pesante ed opprimente le scelte di vita (si veda l'incipit con le resistenze della rigidissima madre affinché la figlia possa frequentare l'università di Tubinga). In questo il film rivela più di un'affinità con il notevole "Frailty" di Bill Paxton, incentrato su una fede che, portata agli estremi, diventa pericoloso fanatismo con terribili conseguenze. Il lucido, impietoso e sconvolgente film di Schmid è soprattutto il resoconto di come, usando le parole del regista, "ogni fondamentalismo religioso sia sbagliato perché ha come caratteristica quella di chiudersi in sé stesso e non guardare all'esterno. La tragedia di queste persone è che vivevano in un sistema chiuso nelle sue convinzioni, che non si apriva agli altri. Volevo andare in fondo alla problematica mentale, capire come uno scontro tra generazioni possa essersi trasformato in una vera e propria malattia, e tutti i meccanismi che hanno potuto portare due genitori a procurare la morte di una figlia pensando di star facendo la cosa migliore per tutti." L'opera di Schmid è inquietante ed atroce proprio nel ritratto di questa famiglia miope ed ignorante (rimane impressa nella memoria l'immagine di una madre intransigente e gelida che tarpa le ali in modo quasi violento alla figlia, condizionandone pesantemente l'esistenza) in cui il presunto profondo senso religioso diventa non uno strumento di salvezza ma uno strumento di condanna. Ed anche la Chiesa, paradossalmente nella figura del sacerdote più giovane che dovrebbe essere quello dalla mentalità più aperta e comprensiva ed invece è il più determinato nel perseguire testardamente la strada dell'esorcismo, nonostante le perplessità del collega sacerdote più anziano, rivela tutta la sua inadeguatezza ed incapacità, nonché supponenza, nell'affrontare il "caso Michaela" esclusivamente sulla base di una lettura superficiale e monodirezionale, finendo per diventare per la protagonista un crudele ed accanito aguzzino anziché l'atteso e sospirato salvatore. Anche in questo caso però Schmid evita una caratterizzazione manicheista e caricaturale dei personaggi e si sforza di darne un'immagine autentica, senza peraltro nasconderne gli elementi più crudeli e spietati (tra l'altro è bello il parallelismo tra i due sacerdoti e i due genitori con la toccante ed intensa figura del sensibile, amorevole ma troppo debole padre di Michaela). "Il film di Hans-Christian Schmid ha uno spessore morale che si cercherebbe invano in un film come quello di William Friedkin del 1973. Invece di giocare sul senso di paura o sulla sensibilità religiosa del pubblico per strumentalizzare a fini commerciali un tema facile come quello del sovrannaturale e del demoniaco, Requiem preferisce andare ad indagare sulle motivazioni psicologiche, ambientali e culturali che determinano, in una società tutto sommato già moderna, il persistere del fenomeno della possessione diabolica. L'educazione cattolica, la negatività assoluta della figura della madre, del tutto priva di affetti per la figlia, la scoperta della maturità, anche e soprattutto sessuale, che si accompagna ai laceranti sensi di colpa insinuati da una inconcepibile visione punitiva del mondo sono solo alcune delle cause dello sprofondare della protagonista nel vortice di pazzia che la porterà alla morte" (Francesco Alfani) Schmid non vuole tanto far conoscere gli effetti ma le cause della tragedia di Michaela: in questo stanno la sua sapiente abilità ed intelligenza. "Requiem" colpisce al cuore anche grazie al personaggio di Michaela cui dà anima e corpo una struggente e formidabile Sandra Hüller, giustamente premiata con l'Orso d'argento per la migliore interpretazione femminile al festival di Berlino dove il film ha vinto anche il premio Fipresci. Una ragazza riservata e umile che inizia ad assaporare la vita solo una volta uscita da casa, incontrando l'amica del cuore (il bel personaggio di Hanna, ben più vivace e disinvolta di lei) e il suo primo amore Stepan (splendida la lunga e dolce sequenza del ballo, quasi liberatorio, sulle note di "Anthem" dei Deep Purple, con il volto sognante e finalmente felice di Michaela dopo che ha dato probabilmente il suo primo bacio al ragazzo, antitetica alle brutali contorsioni della ragazza di fronte al crocifisso e ad altri segni religiosi che le vengono mostrati per calmare le sue crisi). Con l'esperienza universitaria Michaela soffre sulla sua pelle il lacerante conflitto tra la severa, conservatrice, rigorosa, quasi anacronistica educazione cattolica ricevuta e la nuova, improvvisa, più aperta e libera realtà nella quale si trova a vivere, avvertendo la ferrea imposizione di valori ed insegnamenti ricevuta in famiglia come una durissima repressione delle sue naturali potenzialità e dei suoi sentimenti più autentici (emblematico l'episodio in cui la madre getta nel bidone i vestiti che Michaela aveva comprato ritenendoli offensivi e determinando la reazione rabbiosa della figlia e la sua improvvisa fuga dalla Messa di Natale, con conseguente forte attacco epilettico). Un film potente e lacerante, asciutto e rigoroso, dalla messa in scena quasi documentaristica che, come ha scritto giustamente qualcuno, richiama alla memoria il cinema dei Dardenne: come se i due fratelli registi avessero deciso di realizzare il loro personale horror. Impressionante.
Voto: 7 e mezzo

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