Regia di Gianfranco Parolini vedi scheda film
Sorta di remake apocrifo Made in Italy di “King Kong”, grande successo commerciale hollywoodiano della stagione precedente. Infima la qualità del prodotto sotto tutti gli aspetti, dalla sceneggiatura alle scelte di regia, dal casting alle scenografie agli effetti speciali. VOTO: 1
Ammazza che porcheria di film! Siamo nel 1977, l'eco dell'enorme successo mondiale del remake hollywoodiano di “King Kong” non si è ancora attenuato, e dalle parti di Cinecittà non si fanno pregare per montarne su un clone all'amatriciana. Al timone dell'operazione viene chiamato Frank Kramer, pseudonimo dietro al quale si nascondeva -e in questo caso faceva bene a farlo- Gianfranco Parolini, autore noto agli amanti del cinema di genere nostrano anni '60 e '70 per aver creato il personaggio western di Sartana. Ora, commentare qualcosa come “Yeti – Il gigante del XX secolo” è più o meno come sparare sulla croce rossa. Detto in tutta franchezza da uno che ama ogni tanto immergersi in visione di serie Z, qui si è toccato il fondo in senso più o meno assoluto. La storia è una stronzata, con uno Yeti che migliaia di anni prima era vissuto sull'Himalaya e che ora viene rinvenuto in un ghiacciaio del Canada settentrionale. E cominciano le assurdità gratuite. Quindi viene 'scongelato' da un paleontologo squinternato con un sietema 'scientifico' che se possedete un minimo di basi di fisica non potrà far altro che farvi fare quattro crasse risate: il gigante viene chiuso in una gabbia e sollevato da un elicottero fino all'altezza di 9.000 metri, un'altezza simile cioè a quella dell'Himalaya e quindi -stando agli autori- particolarmente ricca di ossigeno. E io che per decenni ho pensato che con l'altitudine fosse solo la pressione a variare, pensa che ignorante! A parte il fatto che gli elicotteri non possono arrivare a tali altitudini, ma vabbeh. Ma procediamo: il piano va a buon fine e lo Yeti torna in vita. Da qui in poi lo scimmiottamento del già menzionato “King Kong” diventa quasi offensivo, con Antonella Interlenghi, all'epoca appena sedicenne, al posto di Jessica Lange (splendida ventisettenne nel 1976). Scelta inspiegabile anche questa, ma in un contesto del genere inutile cercare il pelo nell'uovo. Ma se la storia alterna scopiazzamenti ad assurdità, è la realizzazione dello Yeti stesso a meritare la palma d'oro del trash. Hanno infatti preso uno sconosciuto qualunque, gli hanno seminato sul corpo un po' di peluria nera sintetica e le voila! La somma di cotanto modesto make-up e delle espressioni da deficiente dell'attore protagonista (Mimmo Crao) crea una straordinaria somiglianza col Diego Abatantuono terrunciello, e davvero mi aspettavo da un momento all'altro un «viulenz» o «o pe' bacco!”. Spoiler: gli autori non hanno voluto regalarci tale ulteriore gemma e lo Yeti non parla. Altri dettagli, tipo il modellino di elicottero usato in vece di uno vero, o scene di massa prese un po' a caso e riciclate per l'occasione, dannola misura di quanto povera di mezzi (oltre che di idee) fosse questa produzione.
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