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Syndromes and a Century

Regia di Apichatpong Weerasethakul vedi scheda film

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La recensione su Syndromes and a Century

di OGM
6 stelle

Il tempo cambia gli scenari, ma ripropone sempre gli stessi schemi: un ospedale, negli anni, rinnova gli spazi e le attrezzature, ma la sofferenza dei malati resta immutata. Il dolore, la solitudine, il desiderio d’amore sono costanti che il progresso tecnologico non è in grado di modificare: e difatti sono il campo d’azione della filosofia e della religione, di quei sistemi di riferimento che la tradizione conserva attraverso i secoli. Gli edifici e le persone, seguendo le mode delle varie epoche, si rifanno il trucco, ma le statue del Buddha e l’abito dei monaci rimangono inalterati, a testimoniare il perdurare di una verità che resiste ai capricci della storia. Per questo film Weerasethakul trae ispirazione dalla professione dei suoi genitori, che erano entrambi medici di ambulatorio, e ci propone, attraverso il rapporto tra il medico e il paziente, uno spaccato di vita intima che cerca faticosamente la condivisione: un misto di confidenza ed incomunicabilità, come quello che caratterizza le parole del malato che, nello studio del dottore, un po’ si vergogna, un po’ non trova i termini adatti a descrivere i suoi sintomi. L’inibizione ad esporre il proprio disagio è la stessa dell’innamorato che non trova il coraggio di dichiararsi: la timidezza è la copertura di un animo ferito e insicuro, che cerca conforto, però non osa chiederlo apertamente.  Il sentimento profondo è nemico della determinazione, e per questo imbocca sempre vie traverse, sottraendosi alla logica, e affidandosi all’alchimia del caso. Il silenzio è la sua dimensione ideale, la confusione la sua destinazione finale, che è poi la condizione della mente che rinuncia alla ragione per tuffarsi nel flusso incontrollabile della vita del cosmo. Il nulla ci risucchia, e noi non siamo in grado di impedirlo. Nella caduta ci attacchiamo a strani appigli, piccoli regali che ci piace offrire e ricevere, e  che ci donano soltanto un’illusione passeggera: un infuso d’erbe, un’orchidea selvatica, un album di musica leggera, una maglietta della Croce Rossa, il sogno di una vita nuova.  Tutto si perde nel buio che ci aspetta al di là della nostra breve esistenza, di cui avvertiamo il brivido, e di fronte al quale cerchiamo continuamente di trovare sollievo. Sang sattawat presenta l’eternità come parte di una condanna inappellabile, che, lungo il cammino, dispensa brevi momenti di gioia e lunghi strascichi di tribolazione; e intanto punta il dito verso una fine remota, che promette di cancellare tutto, senza, però, fornire le risposte.

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