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Shortbus

Regia di John Cameron Mitchell vedi scheda film

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La recensione su Shortbus

di scapigliato
8 stelle

Molto meno scandaloso di come l’hanno dipinto i detrattori e di come l’hanno sensazionalizzato i fautori, “Shortbus” è un film innocente. Innocente per le scene di sesso esplicito, che non sono nulla di morboso, e così brevi da non riuscire ad abbozzare manco un’erezione. Innocente nella poesia delle immagini che filtrano la storia già di per sé parecchio lirica dei vari personaggi. I molti passi silenziosi, intimisti ed introspettivi, sono infatti il grosso dell’intenzione sia narrativa che visiva del film. Il sesso che lo spettatore vede non è né più né meno quello che potrebbe facilmente immaginare e anche fare con un minimo di libertà sessuale. Niente quindi di scandaloso. Ciò che colpisce quindi è la bravura degli interpreti, misuratissimi ma molto sensibili. Tra loro spicca Jay Brannan, cantante folk indipendente, che per bellezza e leggerezza attraversa la storia madre del film lasciando il segno quasi quanto il protagonista maschile, quel Paul Dawson che inaugara il film con un auto-fellatio con tanto di eiaculazione facciale per poi piangere come un bambino. Qui è racchiuso tutto il film: il piacere e il pianto. La condizione esistenziale di chi si sente lacerato tra normalità e trasgressione è la stessa di chi è saldo nella propria identità sessuale. In entrambi i casi tutti si chiedono se stiamo vivendo la vera vita, o è solo un abbaglio, o piuttosto un orgasmo solitario cercato sulla panchina di un parco che da sul mare. “La Vita è Sogno” diceva Don Pedro Calderon de La Barca, ma ce lo ripetono anche i protagonisti del film.
C’è forse una scena cult? Io ho trovato spassosa quella in cui Jay Brennan, ovvero Ceth, durante il rapporto a tre con Jamie e James, prende l’uccello di Jamie e lo usa per microfono per cantare l’inno americano. Mentre da dietro Jamie gli chiede “Nessuno ti aveva mai cantato l’inno americano nel culo?”. Sacrilegio a stelle e strisce per un film che nella scena finale inneggia ad un vero pansessualismo che non è lo stesso dell’orgia del privée dello “Shortbus”, il locale, ma bensì la liberazione del piacere che fa ritornare la luce nel bel mezzo del buio, del blackout di questo mondo impazzito, o di questa America rabbuia

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