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Desiderio d'omicidio

Regia di Shohei Imamura vedi scheda film

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La recensione su Desiderio d'omicidio

di casomai
9 stelle

Splendido film, fra i più intensi e riusciti di Imamura. Il regista descrive un Giappone represso e refrattario ad abbandonare l'oscurantismo delle sue tradizioni, ma ancora una volta crede fermamente al ruolo catalizzatore delle donne, alla loro capacità di adattamento, al loro sguardo non convenzionale sul mondo che le circonda.

La liberazione sessuale come fonte di progresso. Questo il tema di Eros e civiltà di Marcuse, che il protagonista maschile Riichi compulsa svogliatamente in biblioteca, ma anche una possibile chiave di lettura di questo splendido film, fra i più intensi di Imamura. Riichi è un bibliotecario in odore di promozione, e si muove in un ambiente ordinato e rigido nelle sue classificazioni, proprio come il Giappone del boom industriale. Sadako, sua moglie, è una creatura istintuale, poco più che una concubina collocata al margine della società e della stessa famiglia per ragioni di casta di cui è solo vagamente consapevole. Entrambi fortemente repressi, seppure per ragioni diverse. Finché una notte Sadako subisce violenza da parte di uno sconosciuto e, quasi contro la sua volontà, entra in un processo di scoperta di potenzialità prima insospettate, prima fra tutte la forza della propria sensualità. Se in filigrana s'intravede la lezione di Ozu nel racconto di piccole miserie familiari e nelle immagini di treni che passano indifferenti da un capo all'altro del Giappone, l'immobilismo e la sottomissione a regole ancestrali sono solo il punto di partenza. Imamura descrive un paese refrattario ad abbandonare l'oscurantismo delle sue tradizioni, ma crede al ruolo catalizzatore delle donne, alla loro capacità di adattamento, al loro sguardo non convenzionale sul mondo che le circonda. Come in altri suoi film, al confronto gli uomini sembrano fantocci inarticolati, asserviti a rituali arcaici e a un inutile orgoglio di casta, incapaci di immaginare un futuro diverso per se stessi e il loro paese. Ma lo sguardo del regista è duplice, e si rivolge allo stesso tempo all'unitarietà del racconto e al profondo simbolismo che i dettagli assumono nell'insieme. Oggetti o volti significativi non necessariamente ripresi in primo piano, ma illuminati di una luce bianchissima in contrasto con l’oscurità circostante. Così la lettera che brilla nella fessura di una porta e che lo spettatore vede dall'interno della casa, le cosce della protagonista illuminate dall'andirivieni della lampada penzolante sul soffitto, il ferro da stiro che riflette come in uno specchio il volto terrorizzato della protagonista. Sadako finirà per liberarsi della propria rassegnazione di vittima. Non lo farà immaginando il proprio suicidio, che in sé sarebbe già una forma di protesta perché deciso in autonomia e non imposto da altri, né tanto meno l'omicidio di quel poraccio del suo persecutore, ma prendendo coscienza del proprio vigore fisico e morale, della propria capacità di rinnovamento, rispetto al torpore malaticcio che la circonda.

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