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Le farò da padre

Regia di Alberto Lattuada vedi scheda film

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La recensione su Le farò da padre

di mck
7 stelle

Zoom pruriginoso sull'Italia-Mondo.

 

La cinicamente spietata e doverosa ferocia - strutturalmente diversa da, ma profondamente consimile a, quella di Pietro Germi e Vitaliano Brancati - con cui Alberto Lattuada (1914-2005), qui anche interprete del medico chiamato prima a constatare e certificare l’avvenuta compromissione (“Tu… abusi di me!”) ai danni di Clotilde (Therese Ann Savoy, 1955-2017, al suo esordio assoluto, scoperta - come tante altre attrici - dal regista de “il Bandito”, “Senza Pietà”, “il Mulino del Po”, “Anna”, “il Cappotto”, “la Lupa”, “Guendalina”, “la Mandragola”, “Cuore di Cane”, e che in seguito, con fino ad allora all’attivo solo un servizio fotografico per PlayMen dell’ottobre 1973, £ 1.000, lavorerà con Tinto Brass, in “Salon Kitty” e “Caligola”, e Miklós Jancsó & Giovanna Gagliardo), l’ereditiera adolescente che soffre di insufficienza/ritardo mentale → disabilità intellettiva, e poi a proporre di curare con l’elettroshock i postumi della violenza secondaria, quella dovuta all’allontanamento del profittatore, venendo infine congedato senza se e senza ma dalla madre di lei (Irene Papas, 1926-2022, che sull’imperiosa bellezza innesta momenti e cenni di struggente sottrazione), mette in scena questo “Humbert Humbert...

 


[là dov’era un professore di letteratura qui c’è un avvocato 35nne romano palazzinaro in erba – un Luigi Proietti, 1940-2020, non ancora Gigi, ma già mattatore – che, nella sua lunga trasfert’apulica pre-boom turistico mainstream, per l’appunto in farsi, dopo una forzata e acuta soppressione della libido che lo rende ebete, con forte scorno del suo borbonico padrino (caratterizzazione fenomenale di Mario Scaccia, 1919-2011) in disarmo (“Ma su quella povera testolina demente ci sono case, terreni, titoli… E venti chilometri di costa! Quindici minuti d’automobile da paletto a paletto!”), regredisce verso una sorta di paracula “innocenza”, mentre il Quilty della situazione – un bravissimo Bruno Cirino, 1936-1981, all’anagrafe Pomicino e fratello maggiore dell’andreottiano Paolo e minore dell’aiuto regista Franco – non riceve una scarica di pallottole in corpo, ma un assegno coperto col quale rifarsi una vita assieme a Concettina, un’ottima Lina Polito (1954), in equilibrio tra dolcezza spensierata e una certa malinconica maleducazione]

 


…in Salento”, da lui sceneggiato col pasqualefestacampanilesco Ottavio Gemma (1925-2015) e con l’autore del soggetto, Bruno Di Geronimo (1926; Valerii, Dallamano, Mingozzi, Florio, Severino, Tarantini, Samperi), e girato, fra gli altri, tra due trasposizioni lacustri da Piero Chiara (“Venga a Prendere il Caffé da Noi”, da “la Spartizione”, e “Una Spina nel Cuore”) e con la collaborazione di Lamberto Caimi alla fotografia, Sergio Montanari al montaggio e Fred Bongusto alle musiche che arabeggiando escono dal Radio Cubo Brionvega di Zanuso & Sapper mentre la vecchia balia (Nina Da Padova, 1900-1987) soddisfa con un ditalino l’insonnia lacrimosa di Clotilde, a cinquant’anni di distanza risulta (ancor più) sulfurea: “O sono matto io, o sono matti tu gli altri!”, con l’una cosa che non esclude l’altra, mentre il diavolo, come ricorda la vegliarda Principessa (Maria Pia Attanasio, con al suo fianco, in altrettali piccole parti, le altrettanto anziane zie Isa Miranda, 1905-1982, e Clelia Matania, 1913-1981), se ne stracatafotte d’essere messo al rogo dall’ipocrita malacoscienza “popolare”, quella che davanti agli zoom pruriginosi si gratta la capoccia (scuotendola) più che la minchia (menandosela), o viceversa, confondendole. 

* * * ¾    

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