Regia di Mary McMurray vedi scheda film
La riuscita interpretazione di Deborah Kerr non riesce a distrarre dalla profonda antipatia verso un personaggio che è poi la proiezione di un'epoca e di un struttura culturale fortunatamente sorpassata e si spera in via di definitiva estinzione: il colonialismo, inglese in India in tal caso. Da qui la prima considerazione: forzare la mano sul ritratto di questa donna anziana e ormai sola, rasentando a tratti il grottesco nelle situazioni e negli atteggiamenti di scontro confronto continuo con la dapprima estranea e dunque amica Madur Jaffrey (pure lei brava), è il primo segnale di un'opera non pienamente riuscita. L'ostentazione dei tipi e della missione progressista d'insieme risulta poco spontanea e molto ragionata. L'equilibrio d'insieme traballa e quando il meccanismo si rivela allo spettatore in modo così evidente, il cinema ne perde. Lo stile apparentemente dimesso e morbido sfiora il manierismo nel fare avvicinare i mondi di provenienza delle due donne. Più interessante il gioco a quattro con i rispettivi mariti, quasi in secondo piano eppur fondamentali. Qui la regista offre quadri famigliari compositi e stimolanti. Tutto comunque passa attraverso il giardino del titolo, metafora di un ordine personale/interiore e collettivo/storico da ristabilire con cura e sforzi del singolo e degli stati.
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