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Baba Yaga

Regia di Corrado Farina vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Baba Yaga

di FABIO1971
6 stelle

In particolare mi interessava approfondire i rapporti linguistici tra cinema e fumetto: di questo desiderio rimangono, ahimè, poche tracce nel film finito”.

[Corrado Farina]

Allora, come è andata a finire stanotte?”.

È andata benissimo”.

Benissimo? Come sarebbe?”.

Beh, ho fatto un centomila con un commenda, un pappone me le ha tolte a schiaffi, poi sono finita in una retata e, mentre stavo in galera, sono stata violentata da un nano. Ti basta?”.

Altro che... Sono contento che ti sia divertita”.

[George Eastman e Isabelle De Funès]

 

Valentina (Isabelle De Funès), fotografa di grido (“Non hai mai sentito parlare di Cartier-Bresson? È uno degli pseudonimi di Valentina”) nella Milano dei primi anni Settanta, dove si divide tra lavoro, salotti e amicizie alternative, come il regista Arno Treves (George Eastman), il fumettista Giorgio o la modella Toni (Angela Covello), rischia di venire investita in piena notte dall'automobile di una donna misteriosa, Baba Yaga (Carroll Baker), che il giorno seguente torna a farle visita con un invito:

Venga a trovarmi. Posso contarci?”.

Mah, non saprei, veramente ho molto da fare in questi giorni”.

Dia retta a me: venga a trovarmi, Valentina”.

E naturalmente Valentina, incuriosita e sospettosa, oltre che improvvisamente tormentata da strani sogni, decide di incontrarla nuovamente, inconsapevole dei guai che la attendono: Arno, inizialmente scettico, dubita dell'equilibrio di Valentina (“Incontri una vecchia lesbica, a una tua amica viene il mal di testa e tu subito credi al sortilegio, alla strega?”, “È pallida, ha le mani gelate...”, “Sì? Io a Treviso ho una vecchia zia con due denti così, ma mica si chiama Dracula!”), ma sarà ben presto costretto a ricredersi quando dovrà accorrere in suo aiuto per salvarla dalla diabolica influenza di Baba Yaga.

Secondo lungometraggio di Corrado Farina (dopo l'esordio con Hanno cambiato faccia nel 1971) e prima (e più famosa e riuscita) trasposizione cinematografica delle avventure di Valentina (nella fattispecie, l'omonima Baba Yaga pubblicata da Milano Libri nel 1971), la celebre eroina dei fumetti creata nel 1965 da Guido Crepax, artista a cui il regista torinese aveva già dedicato nel 1970 il cortometraggio Freud a fumetti. Un'opera ambiziosa, affascinante, sfortunata, senz'altro irrisolta: la lavorazione, infatti, venne pesantemente condizionata dalle ingerenze dei produttori, che mutilarono il film intervenendo direttamente sul negativo e scatenarono le ire di Farina, che denunciò il misfatto all'Ansa e ritirò la propria firma dalla pellicola. Il clamore suscitato dagli organi di stampa costrinse la casa di produzione, la 11 luglio cinematografica, a restituire Baba Yaga al suo autore, che lo montò nuovamente tentando di recuperare la maggior parte del materiale tagliato e riscrivendo ex novo, con l'aiuto di Giulio Berruti, alcune scene (alla fine saltarono soltanto, a parte le sforbiciate dei produttori e della censura, l'intera sequenza del prologo nel cimitero e alcuni minuti di quella dell'incontro di pugilato, in seguito recuperate per la versione director's cut del film). Inoltre, per la scelta dell'attrice protagonista (per il ruolo di Valentina era in lizza anche Stefania Casini, preferita da Farina) prevalsero le direttive dei coproduttori francesi del film, che proposero Isabelle De Funès, nipote d'arte, mentre l'interpretazione di Baba Yaga venne affidata ad Anne Heywood, che poi abbandonerà le riprese senza aver girato neanche una scena e verrà sostituita da Carroll Baker.

Servito sapientemente dalla fotografia di Aiace Parolin, che risolve il passaggio dal bianco e nero del fumetto al colore puntando sull'esasperazione dei contrasti di luci e ombre, dal montaggio di Giulio Berruti, dal gusto di scenografie e costumi (firmati Giulia Mafai) e dalla splendida colonna sonora di Piero Umiliani, Baba Yaga si lascia apprezzare per la svagata leggerezza dell'ispirazione (a fronte, oltre tutto, di una vicenda decisamente oscura e macabra), frutto della viscerale passione di Farina per i fumetti, piuttosto che per gli equilibri della costruzione drammaturgica: la narrazione, infatti, procede a scatti, tra sussulti onirici, dialoghi indifferentemente arguti o improbabili, goliardate radical-chic, bordate di kitsch, per poi, dopo aver sparso ironia e sarcasmo sulla contestazione dell'Ordine e l'integrazione nel Sistema, sull'alienazione della vita moderna e la rivoluzione sessuale, virare progressivamente sui toni e le atmosfere visionarie del thriller soprannaturale, tra stregoneria, incubi e misteri.

E restano anche alcuni riuscitissimi momenti, dal prologo nel cimitero con il cameo di Franco Battiato (doppiato) all'esilarante (e idiotissimo) spot pubblicitario con Michele Mirabella che reclamizza Netto, “il nuovo detersivo ad azione istantanea che in pochi secondi elimina ogni traccia di nero” e alla sequenza dell'arrivo di Arno nella casa di Baba Yaga, oltre al divertimento per l'imponente serie di omaggi e citazioni, cinematografiche e letterarie, disseminate durante la narrazione: Cartier-Bresson, Godard e Laurel & Hardy (“Godard è sempre Godard, ti pare, Valentina?”, “Mah, io continuo a preferire Stanlio e Ollio e, per quanto riguarda il tuo santone, per me si è fermato con Pierrot le fou), la fiaba di Cappuccetto Rosso (a cui Farina aveva già dedicato un cortometraggio amatoriale nel 1962), Emilio Salgari, Ulisse di Joyce, I crimini dell'amore di De Sade, Forme e tecnica del film e lezioni di regia di Ejzenstejn, Gli anni ruggenti di Topolino (lo storico Oscar Mondadori curato da Oreste Del Buono), Bianca di Crepax (sfogliato nel film da Arno finchè i corpi sulla pagina si confondono con quelli dei personaggi “reali”, espediente suggestivo a cui Farina ricorrerà spesso nel corso del film, specialmente per le sequenze più pruriginose), Frankenstein di Mary Shelley, Introduzione alla psicanalisi di Freud, Edgar Allan Poe, Herzog di Saul Bellow, Il castello di Kafka, Karl Marx, Dario Argento, con l'omaggio a L'uccello dalle piume di cristallo (“Quando è mancata la luce da me, oggi, è successo qualcosa, qualcosa che non so, ma c'è un particolare... un particolare che non riesco a mettere a fuoco, che potrebbe aiutarmi a capire, anche se l'idea di capire mi fa paura”), Il Golem di Paul Wegener e Carl Boese (1920) proiettato nel cineclub [e tutto il resto che non è finito sotto gli ingrandimenti dello zoom...].

Adesso magari mi dirai che quella è la porta dell'inferno e che la tua Baba Yaga è la strega custode...”.

Ebbene... perchè no?”.

Ma sei matta? Siamo nel XX secolo, facciamo il trapianto del cuore, andiamo sulla Luna! Le streghe non esistono più, le streghe sono roba da Medioevo e l'inferno, semmai, è il mondo in cui viviamo. Credi a me, Valentina: seppure l'inferno, dico quello classico con i dannati e i diavoli, fosse mai esistito, oggi ormai l'avrebbero trasformato in un supermarket”.

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