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Bab El-Oued City

Regia di Merzak Allouache vedi scheda film

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La recensione su Bab El-Oued City

di OGM
8 stelle

Nel 1994, l’Algeria si è lasciata alle spalle l’epoca coloniale, ma ha sostituito al dominio straniero un nuovo devastante tipo di oppressione: sullo sfondo dei fallimenti della politica, che si è rivelata incapace di assicurare sviluppo e benessere, si stanno moltiplicando, tra la popolazione, fermenti antigovernativi di stampo fondamentalista, che esercitano una forte pressione sulla società. Il gruppo guidato da Saïd ad Algeri, nel quartiere di Bab El-Oued, è un esempio di organizzazione mafiosa che, anziché gestire i traffici illegali e le attività economiche, combatte, col mezzo della violenza e dell’intimidazione, i comportamenti contrari alla tradizione islamica: un’azione in controtendenza rispetto agli atteggiamenti delle nuove generazioni, manifestamente insofferenti nei confronti delle restrizioni alla libertà di movimento e alla vita di relazione e, in generale, dell’impronta moralistica pubblicamente assunta dall’insegnamento coranico. Boualem, infastidito da un rumore avvertito durante il sonno, non esita a smontare l’altoparlante, montato sul tetto della sua casa, che diffonde la voce dell’imam: è un ragazzo che di notte lavora come fornaio, e di giorno ha bisogno di silenzio per poter dormire. Quel gesto è destinato a costargli caro, poiché lo esporrà alla persecuzione di Saïd e dei suoi uomini. Ad aggravare la sua posizione contribuirà anche il suo interesse per Yamina, la sorella di Saïd. Quest’ultimo si erge a severo castigatore dei costumi, in un contesto, in cui, però, la trasgressione è all’ordine del giorno, ed è, in effetti, una mera questione di sopravvivenza: lo è, per motivi pratici,  il contrabbando di derrate alimentari e materie prime, e lo sono, come disperata cura per gli spiriti depressi, i divertimenti illeciti, dalla prostituzione al consumo di alcolici. Questa è, secondo le prediche che risuonano dalle moschee, la sporcizia, che costituisce un’emanazione diabolica e sta invadendo le strade della capitale. L’obiettivo di Alloauche ci mostra, però, che la tanto deprecata mancanza di pulizia dovrebbe piuttosto essere intesa dal punto di vista igienico, urbanistico, ambientale, perché tutto, nella capitale, è ormai in preda al degrado. Algeri è, per lui, l’amatissima città natia in cui, tuttavia, è impossibile restare: tutti sognano di andare via da lì, di imbarcarsi sulla nave e trasferirsi in Europa, per studiare o lavorare. C’è un’anziana e nostalgica donna francese, ormai divenuta cieca, che si fa accompagnare dal nipote nei luoghi più importanti di Algeri, quelli che un tempo erano sede di splendore, come la spiaggia che lei ricorda affollata di turisti e costellata di ombrelloni colorati (mentre ora è deserta e ingombra di detriti), e il cimitero ricco di tesori monumentali (che è ormai invaso dalle erbacce e in stato di completo abbandono). Il suo anfitrione finge che tutto sia rimasto come allora, decantando meraviglie inesistenti. L’immaginazione è la via di fuga dallo squallore di un mondo che non offre alcuna opportunità: una via che porta fuori dalla volgare ottusità di un sistema che ha dimenticato il passato e non vede il futuro; e che intanto si arrocca su pretestuose posizioni difensive, assunte nei confronti di un nemico esterno che, in realtà, è solo la proiezione della propria autodistruttiva miopia. Bab El-Oued City  è un film di denuncia, che alla dura espressione della rabbia preferisce la vaga descrizione del sogno: il desiderio è formulato sottovoce, e nella penombra, come la drammatica confessione della “donna che vive sola e riceve gli uomini”, la quale, nella sua camera da letto con le persiane chiuse, racconta a Boaulem le origini della sua triste condizione. Gli echi della rivoluzione si sono placati, e con essi anche gli entusiasmi suscitati dagli ideali di indipendenza, giustizia ed uguaglianza. Ciò che rimane è un’esistenza trascorsa tra la clandestinità  e l’attesa: l’attesa di un senso da ricercare altrove. 

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