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L'argent

Regia di Marcel L'Herbier vedi scheda film

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La recensione su L'argent

di casomai
8 stelle

A lungo dimenticato, L'Argent è una delle più grandi produzioni del cinema muto. Un kolossal in cui tutto sorprende, oggi forse più di ieri, e tutto esprime l'ambizione smodata del regista Marcel L'Herbier. Quasi tre ore di durata, sfarzosi ambienti e costumi modernisti, vorticosi e modernissimi movimenti di macchina.

A lungo dimenticato, L'Argent è in realtà una delle più grandi produzioni del cinema muto. Un kolossal in cui tutto sorprende, oggi forse più di ieri, e tutto esprime l'ambizione smodata del regista Marcel L'Herbier. Le quasi tre ore di durata, lo sfarzo degli ambienti e dei costumi modernisti, i movimenti disinvoltamente vorticosi delle macchine da presa portatili (avete detto Kubrick e von Trier?). Oltre che, per chi ancora è in grado di apprezzarlo, un cast di tutto rispetto su cui svettano Alfred Abel e Brigitte Helm, entrambi reduci da Metropolis dell'anno prima. La grandiosa scena iniziale con oltre duemila comparse è come una sferzata sul viso dello spettatore e lo costringe a rendersi conto della grandiosità di ciò a cui sta per assistere. Aria di crisi in Borsa, inquietudine palpabile, parole immaginate, ché quelle reali sono fin troppo intuibili, sguardi eloquenti: cupidi o ingenui, serafici o preoccupati, cinici o fatalisti. Pochi minuti in cui c'è tutta la forza evocativa del muto. La frenesia speculativa diligentemente descritta da Zola è resa qui con altrettanta forza impressionistica grazie al continuo zapping delle immagini. Il montaggio, oggetto di culto dei registi francesi dell'epoca (basti pensare a un tour de force tecnico come La roue (1923) di Abel Gance), è fatto di stacchi frequentissimi (Lourcelle calcola in media un raccordo ogni sei secondi e mezzo per la versione di 130'), ed è il vero agglutinante dell'ammasso di cose e persone sospinte dal denaro. La macchina da presa in prima persona segue tutto, onnipresente: allontanandosi, avvicinandosi, calando dal soffitto, sollevandosi dal pavimento, seguendo passo passo i personaggi nel loro esaltato peregrinare nei luoghi sacri del denaro, registrandone le emozioni. Come nella sequenza del prestanome che entra nell'anticamera ovale del banchiere Gunderman e non può sottrarsi a un senso di vertigine, debitamente comunicato dalla cinepresa. All'epoca fu un fiasco per motivi che oggi si fanno fatica a cogliere. Soprattutto suscitò disappunto fra i critici la scelta di adattare in chiave contemporanea un romanzo di Zola ambientato nel Secondo Impero. Ma se di fallimento si tratta, è pur sempre un fallimento eroico. I comportamenti speculativi appaiono, nella Francia di fine '800 come alla fine degli anni '20 e ancora oggi, attinenti alla sfera emozionale ed istintiva, non sorretti da alcuna scientificità ma da velleità umane, troppo umane di arricchimento e rivalsa. Da L'Argent a Margin Call (2011) è un passo.

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