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Nella città perduta di Sarzana

Regia di Luigi Faccini vedi scheda film

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La recensione su Nella città perduta di Sarzana

di Baliverna
7 stelle

Nei primi anni '20 estremisti fascisti e comunisti si affrontaravano non solo con la propaganda e gli argomenti, in un'Italia che ancora puzzava di guerra.

Devo dire che, al netto di qualche difettuccio, mi ha piacevolmente stupito. Essendo un prodotto televisivo – anche se di anni precedenti alla caduta libera della qualità – mi aspettavo infatti una certa piattezza e svogliatezza. Invece ci troviamo davanti il cinema vero e proprio, un cinema che si ispira sotto alcuni aspetti a quello dei fratelli Taviani. Mi riferisco, ad esempio, all'ambientazione paesana e campagnola, che ricorda “La notte di San Lorenzo”, e lo stile asciutto, poco verboso, e vagamente cronachistico, che ricorda “San Michele aveva un gallo”.
Gli attori mi hanno convinto, e la regia mi è sembrata buona, e per nulla televisiva.
Oltre a voler raccontare le lotte tra fascisti e comunisti attorno alla città di Sarzana – lotte spesso insensate e sanguinose – la pellicola vuole spezzare una lancia per il prefetto della città e la sua visione delle cose, cioè la necessità di un disarmo e una pacificazione tra fazioni, che coinvolga la popolazione locale. Il funzionario, che pure è decisamente antifascista, si rende conto dell'inutilità degli scontri e dell'uso che ne fanno i fascisti e i loro spalleggiatori, cioè l'alta borghesia e la nobiltà. A questo scopo, tenta una difficilissima opera di mediazione, che però non viene capita quasi da nessuno. Per noi che sappiamo quale delle due fazioni avrebbe prevalso, il film sembra suggerire che è proprio per l'appoggio, o la connivenza, di quelle classi sociali ad aver permesso al fascismo di crescere ed affermarsi.
La pellicola sembra imputare alla miopia dei capi comunisti e anarchici, attenti solo ai vantaggi immediati e mancanti di una visione d'insieme, la responsabilità della sconfitta che avrebbero subito. La presenza tra loro di qualche esagitato e qualche violento fecero il resto.
Pur essendo un'opera decisamente antifascista, non la si può criticare per una rappresentazione stereotipata e semplificata degli esponenti delle due fazioni.
Un limite dell'opera è invece rappresentato da una patina di leggero didascalismo che la ricopre, e che ne attenua un po' il vigore. Quando si gira un film, secondo me, bisogna fare attenzione a non spiegare, chiarire e dimostrare troppo, perché si può incappare nella lezioncina di storia a tesi, o in un pamphlet politico di poco valore. Ma dopo tutto qui se la cavano non troppo male quanto a didascalismo, specie se pensiamo a molte “spiegazioni” politiche presenti nel cinema italiano di impegno sociale degli anni '70.
Il monologo della contessa nell'ultima parte, per la sua teatralità e gigioneria, è un'incomprensibile cantonata finale (che fosse stata una pretesa dell'attrice?)
Precisato questo, è un tipo di televisione che dà dieci a zero alle moderne fiction storiche, che sono lucidate e cromate, ma vuote e piatte.
PS: La versione mandata in onda da Fuori Orario ha 1h e 58. La durata indicata nella scheda corrisponde forse ad una possibile versione che fu montata per le sale.

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