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Il testamento del mostro

Regia di Jean Renoir vedi scheda film

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La recensione su Il testamento del mostro

di OGM
8 stelle

La coscienza (ossia, l’anima) è una schiavitù, perché conserva memoria di ogni nostra azione, costringendoci a renderne conto di fronte a noi stessi, agli altri uomini, e a Dio. Il guaio è che a portarla in giro è sempre lo stesso corpo, che fa da segnaposto alla persona, indicandone, ovunque, inequivocabilmente, la presenza. Solo mutando radicalmente il proprio aspetto ci si può nascondere sotto una identità fasulla ed essere liberi di seguire i propri desideri. Quando reprimerli non è possibile, in quanto costituenti fondamentali del nostro essere, l’unica soluzione praticabile è la via della clandestinità, del rifugio nel privato, dello sfogo in incognito. Dietro il paravento dell’anonimato, o di qualsiasi altra forma di fake, si consumano tutti quegli atti inconfessabili in cui le nostre pulsioni trovano segretamente soddisfazione. Gran parte del nostro equilibrio psichico poggia su quotidiani riti maniacali, in cui i nostri irrazionali picchi di energia ansiosa pervengono ad una pacifica sistemazione. Il si fa ma non si dice è la nostra salvezza di animali sociali, è l’ipocrisia funzionale alle regole della convivenza, quella che mantiene intatta la necessaria illusione di normalità/rispettabilità. Per il dottor Cordelier, psichiatra, la presenza di una grave patologia sessuale è una tara inaccettabile, che, se resa pubblica, avrebbe effetti devastanti. Il suo alter ego Opale gli offre la maschera sotto cui può compiere impunemente le proprie imprese criminose; è un prestanome a cui intestare i gesti che macchiano la reputazione. Il mostro uscito dal laboratorio, che esibisce peli ed artigli, non è una mutazione artificiale; è, invece, l’uomo nudo e crudo, spogliato dell’abito della decenza, della veste presentabile che copre, agli occhi del mondo, i vergognosi connotati primordiali. Il film di Jean Renoir sottrae il mito di dottor Jekyll/mister Hyde alla dimensione surreale dell’horror e della fantascienza, per calarlo nel realismo della vita; il maledetto esperimento con le provette cessa di essere la classica conquista che si paga a caro prezzo, il solito prodigio della chimica i cui effetti collaterali ammoniscono contro i limiti del sapere umano. L’errore, che, nella tradizione cinematografica, è origine di spettacolari catastrofi, diventa qui, al contrario, l’occasione per mettere in luce una realtà insospettata: una porzione di verità che, in questo caso, è il lato in ombra della nostra stessa vita.

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