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Una vampata d'amore

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Una vampata d'amore

di spopola
8 stelle

La struttura dell'opera, intelligente e controllata, è solidamente debitrice nei richiami formali alla corrente dell’espressionismo. Non è ancora il Bergman sublime delle opere della sua maturità ma ci si avvicina molto con sequenze davvero memorabili come la stupenda conclusione nella stalla e il successivo incontro con l'amante ritrovata.

Una vampata d'amore è del 1953 (anteriore quindi alle opere della maturità) eppure già con questo film il regista riesce a raggiungere (e a trasmettere) attraverso un sottile gioco di rimandi, un pathos elevatissimo, grazie al rigore formale, alle qualità stilistiche del racconto, all'uso sapiente della macchina da presa, fra improvvise intuizioni poetiche e profonde sciabolate estetizzanti. Se ci limitassimo ad analizzare il soggetto, dovremo oggettivamente ammettere che si tratta di una storia stereotipata pericolosamente inclinata verso il fumettistico, ma il segno di Bergman, già personale ed incisivo, riesce a spostare la prospettiva e il senso dell'operazione, dando così un significato diverso e più emozionale alla storia e ai personaggi. I due protagonisti, Anna (cavallerizza di un circo) e Albert (il proprietario della struttura circense) sono due amanti che subiscono la sottile, intrigante attrazione verso scelte che potrebbero determinare una svolta importante nelle loro vite e che si potrebbe concretizzare con la fine delle incertezze e il raggiungimento della agiatezza economica e della tranquillità. Questo però pregiudicherà seriamente la regolare prosecuzione della loro "passione amorosa". Si tratterà invece e più semplicemente, di una interruzione traumatica, quasi un momentaneo corto circuito destinato col tempo, a ricomporsi: Albert anela a ritornare nel seno accogliente della famiglia (moglie e tre figli) abbandonati da oltre tre anni; Anna "vende" il suo corpo attratta dal miraggio di un monile che si rivelerà invece privo di valore effettivo risvegliando però, con il suo tradimento, la brutale gelosia dell'amante che sfiderà nell'arena il rivale in una lotta senza esclusione di colpi che lo vedrà uscire perdente e sconfitto (e per questo tenterà addirittura, senza avere il coraggio di portare a termine il gesto, anche il suicidio). Ma Albert a suo modo ama la vita, ama gli uomini e le cose, anche se in qualche modo è proprio l'amore ad essergli negato, come se esistesse fra lui e questo sentimento una barriera difficilmente valicabile: potrà tutt'al più tentare di farsi lambire da una più breve e fugace "vampata" dei sensi destinata ad estinguersi o comunque ad affievolirsi stemperandosi nei rossastri riflessi della brace coperta dalla cenere ma ancora sufficientemente "calda" per "bruciare" e lasciare il segno. Eppure nonostante tutto (o forse proprio per questo) vita e uomini piacciono ad Albert, e allora rinunciando ancora una volta a facili e improbabili miraggi privi di avventura e di stimoli, finirà per confrontarsi con questi suoi bisogni e perdonerà il tradimento di Anna riprendendo il rapporto interrotto. Anna e Albert risulteranno così alla fine simili e complementari, entrambi miserabili, sciocchi, deboli, succubi dei sensi e del corpo, scarsamente intelligenti e disponibili, ma pur sempre vivi, anche se rozzi e istintivi, in qualche modo "selvaggi" come animali, e in questo, tutto sommato non molto dissimili dal vecchio, ingombrante, asmatico orso che viene ucciso nel finale. La conclusione non è pessimistica: non si tratta di una resa e di una sconfitta (semmai più propriamente potremmo parlare di acquisizione di coscienza critica): i protagonisti escono da questa accettazione dei loro limiti evidenti, più vitali che mai e assolutamente vincitori, sicuramente maggiormente consapevoli. Gli sconfitti sono altrove (Frans e Agda che non riusciranno a trattenere nulla di quello che avevano tentato di ottenere, ma anche tutti coloro che stanno ai margini, inconsapevolmente "morti nell'anima e nei desideri" passivamente assiepati ai bordi, ciechi e impotenti, ad osservare amorfi e rassegnati il rumoroso passaggio del circo, metafora della vita stessa). Loro, a differenza di Albert e Anna, non potranno nemmeno aspirare al riscatto di quella fugace "vampata d'amore" e per questo la loro solitudine diventerà abissale, totale ed incolmabile. La struttura dell'opera, intelligente e controllata, è solidamente debitrice nei richiami formali a precise correnti artistiche e letterarie facilmente identificabili, particolarmente riconoscibili nelle parentesi collaterali, a partire dall'allegorico racconto iniziale (quasi un parallelo chiarificatore) del vecchi clown e di sua moglie: qui più che altrove, i richiami "espressionistici" sono inequivocabili e pregnanti. Certamente se si considera il Bergman sublime e senza sbavature delle opere che rappresentano l'apice della sua poetica, "Una vampata d'amore" risulta opera più squilibrata, oserei dire "perfettibile", quasi un "esercizio" per saggiare le proprie capacità, ma con momenti altamente qualificativi che preannunciano già (e non ne risultano inferiori) la grandezza sublime delle successive prove della maturità. Mi riferisco in particolare a tutta la sequenza della seduzione di Anna da parte di Frans e soprattutto alla stupenda conclusione, con il pianto liberatorio di Albert nella stalla e il successivo incontro con l'amante ritrovata nell'alba livida e al tempo stesso radiosa e "aperta".

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