Regia di Osvaldo Civirani vedi scheda film
Non è il 'western cattolico' favoleggiato da Fellini nel coevo Toby Dammit, episodio di Tre passi nel delirio, ma Il figlio di Django è comunque qualcosa di più, in termini di contenuti, rispetto al classico spaghetti western: perchè la possibilità del perdono da parte del protagonista nei confronti dei 'cattivi', se mai era stata fino a quel punto contemplata nel genere, lo era stata ben di rado. Per il resto però si tratta di nient'altro che un divertissement a bassissimo costo girato da Civirani, un regista di poche pretese e limitate capacità espressive che si accontentava di licenziare prodottini similmente 'alimentari', ma che indubbiamente conosceva bene il cinema (fu per un quarto di secolo fotografo di scena, prima di passare dietro la macchina da presa). La trama della pellicola si intuisce già a perfezione e nella sua interezza, se si eccettua quel colpo di scena che aleggia nell'aria del finale, dal titolo: la sceneggiatura di Alessandro Ferraù, Tito Carpi e dello stesso Civirani non va da nessuna parte, ma quantomeno evita slabbrature ed esagerazioni più o meno volute che già dominavano il filone, realmente intasato di titoli nei suoi pur pochi anni di vita. Guy Madison, Gabriele Tinti e Daniele Vargas sono i nomi principali sul cartellone; di Piero Umiliani è la modesta colonna sonora. Costumi e scene sono della coppia - anche nella vita - Mila Vitelli Valenza e Demofilo Fidani, che in quegli stessi anni produsse alcuni fra gli spaghetti western più involontariamente comici. 2,5/10.
Django viene ucciso davanti agli occhi di un bambino di nove anni: è suo figlio, che una volta cresciuto riuscirà a rintracciare i killer del padre.
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