Regia di Russell Rouse vedi scheda film
Ray Milland cammina con fare guardingo, fissa il vuoto, lancia sguardi in tralice, solleva gli occhi al cielo e poi li abbassa fulmineo. Così per 86 minuti, senza proferire parola. Ma la scommessa di un film senza dialoghi è vinta. Il molto hitchcockiano inseguimento sull'Empire State Building è da manuale, la scena finale strappa gli applausi.
Ray Milland si scruta attorno con fare circospetto, fissa il vuoto, lancia sguardi in tralice, solleva gli occhi al cielo che manco la Bertini e poi li abbassa fulmineo. Così per 86 minuti, senza proferire verbo. L'assenza di dialoghi è una trovata a suo modo geniale, ma anche molto ardita per rendere l'atmosfera di esasperata segretezza imperante negli anni di guerra fredda. Per non ammorbare lo spettatore bisognava pur compensarla in qualche modo. Il regista Russell Rouse scommette sull'utilizzo espressionista di un chiaroscuro brillante, su primi piani molto hitchcockiani di oggetti e dettagli, su una colonna sonora petulante e un po' d'accatto che scandisce un colpo di scena ogni 10 secondi (non che fosse strettamente necessario), su scene in esterni la cui silenziosità non fa che rafforzare il senso di claustrofobia, ma soprattutto sul grande sforzo interpretativo di Ray Milland, che ce la mette tutta a veicolare un'enorma gamma di emozioni col solo ausilio degli occhi. L'inseguimento finale sull'Empire State Building – anch'esso molto hitchockiano, cela va sans dire – è da manuale, ma la scena finale, quando l'angoscia si stempera e i tratti del protagonista appaiono per la prima volta distesi, strappa gli applausi.
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