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Zatoichi

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Zatoichi

di giancarlo visitilli
8 stelle

“Anche con gli occhi bene aperti non vedo niente”. L’inizio e la fine di un’opera straordinaria, molto più di un semplice film, Zatoichi del regista Takeshi Kitano.
Il regista, originario di Tokio, classe ’47, gira un film da un soggetto non suo, tratto dal romanzo di Kan Shimozawa, e in costume, anche se già con Dolls (2002) aveva osato un’incursione nella tradizione teatrale giapponese con degli amanti condannati all’infelicità. Di Zatoichi Takeshi firma la sceneggiatura e il montaggio, oltre che esserne il degno interprete. “Con Zatoichi volevo far conoscere anche a chi ha meno di trent’anni questo eroe dell’immaginario giapponese scomparso dagli schermi”, queste le parole con cui il regista ha presentato il suo film, in Concorso, alla 60a Mostra del Cinema di Venezia. Infatti, la storia di Zatoichi riprende una vecchia serie televisiva di successo ambientata nel Giappone dell'800 ed è la prima volta, dopo Violent Cop, che Kitano si cimenta in un film di cui non ha curato completamente la scrittura e il soggetto.
Zatoichi non vede, o meglio, ad occhi chiusi vede meglio. L’uomo vede altro, grazie all’aiuto del suo finto bastone laccato rosso, che nasconde la katana. Un vagabondo che si aggira nel Giappone del XIX secolo, che tira a campare facendo massaggi e giocando d’azzardo. Un eroe fra gli umili.
Dopo tanto girovagare, giunge in un paesino in cui scopre che gli abitanti sono vittime dell’arroganza e della strafottenza della banda Ginzo, uomini di malafede, che riscuotono tangenti e calpestano la dignità dei poveri e dei contadini. Zatoichi non tarderà ad entrare in conflitto con i criminali, mentre in paese arrivano due misteriose geishe, spinte dalla sete di vendetta: lo scontro sarà sanguinosissimo. Bambini di strada, giocatori di dadi, geishe, poveri e contadini. Tutti nelle morsa del Bene e del Male.
Uno scatenato western nipponico, iperviolento e surreale, di cui potremmo stabilire un’ipotetico percorso: inizia dove finisce I Sette Samurai di Akira Kurosawa e percorre strade che portano il nome di Sergio Leone e, addirittura, Fellini. Kitano reinvesta il tip tap americano, conferendogli il carattere musicale, tipico della tradizione musicale orientale. Il contrappunto la fa da padrone. Leone, De Sica, Fellini e Rossellini, registi che Kitano dice di amare “in modo particolare”. “Amo dell’Italia le due “C”: il Cinema e il Cibo”. Ma Zatoichi ricorda tanto anche Furia Cieca di Philip Noyce.
La differenza è che qui Beat Takeshi si avvale di una straordinaria maestria nel combinare una summa di generi e citazioni, finanche il musical, rielaborando temi e modi del western secondo i rituali delle arti marziali, con lampi di irresistibile comicità e squarci di inaudita violenza. Zatoichi reinventa lo spettacolo popolare distorcendo l’immaginario collettivo, grazie all’utilizzo di bagni di sangue, geishe transessuali, picchiatelli in mutande e ciechi ipervedenti. Zatoichi uccide i cattivi ad occhi chiusi.
Questa bella storia del massaggiatore e del samurai è leggera come un musical e una danza rituale giapponese; guerrafondaio e pacifico nello stesso tempo per la cruenta lotta e il messaggio umano. Gioco di doppi, con un happy end che stordisce per la sua bellezza e che conta addirittura un tip tap collettivo e coloratissimo. Neanche i padri del comunismo avrebbero osato pensare quanto ha osato immaginare Kitano: i contadini che zappano la terra e il loro lavoro è musica del e per il mondo. Utopia Sogno o Realtà? Semplicemente Kitano.
Giancarlo Visitilli

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