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Duel

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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George Smiley

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La recensione su Duel

di George Smiley
10 stelle

Trattasi del secondo film di Steven Spielberg, regista che rientra nella cerchia dei miei preferiti pur trovandolo a volte un po' sopravvalutato, ma che nel 1971 ha girato quello che ritengo sia rimasto da allora uno dei suoi lungometraggi migliori, un film potente e viscerale che trasforma un qualunque viaggio in automobile in un western on the road tra le sconfinate e polverose strade degli U.S.A., nonché un’opera dai gravi risvolti psicologici e sociali che attraversa il cuore nero dell’animo umano, i suoi istinti primordiali e la bestialità della società in cui viviamo. Girato inizialmente per la televisione, dato il grande successo ottenuto fu successivamente proposto al cinema con 16 minuti di scene aggiuntive; scelta più che giusta data la caratura di questo grande esempio di cinema a basso costo, quasi un paradosso rispetto ai budget con cui Spielberg ebbe successivamente a che fare: ennesima prova del fatto che la necessità aguzza l’ingegno e che spesso non servono molti soldi se si ha un grande soggetto e un regista capace di metterlo in pratica. Qui è già evidente l’abilità, tipica del cineasta di Cincinnati, di intrattenere mirabilmente lo spettatore e di creare tensione grazie ai movimenti della cinepresa divenuti celebri grazie al famosissimo “Lo Squalo”. Anche in questo caso la monotematica colonna sonora si sente nei momenti di maggiore pathos, esempio di perfetta orchestrazione della messa in scena. Il protagonista è un uomo comune, nel quale chiunque di noi si può riconoscere, inserito in un contesto anomalo e irrazionale che lo porterà a comportarsi di conseguenza.

La trama è semplicissima e quasi inesistente: David Mann (interpretato da Dennis Weaver), tranquillo commesso viaggiatore, sta compiendo un viaggio in auto fuori città per lavoro, quando davanti a lui su una strada deserta vede una vecchia autocisterna che procede lenta. Poiché questa gli scarica addosso il fumo denso del tubo di scappamento, David la sorpassa, ma poco dopo la cisterna lo supera nuovamente. David la sopravanza per la seconda volta, e da quel momento prenderà il via un feroce e immotivato inseguimento destinato a risolversi con l'annientamento di uno dei due avversari.

Gettate le basi di questo thriller pazzo e metafisico, Spielberg, come detto in precedenza, ci fa identificare in David Mann, uomo qualunque con una vita completamente ordinaria e monotona, un insoddisfatto come tanti altri, un uomo di media cultura e di buona educazione che viene perseguitato da un fantomatico camionista del quale non ci verrà mai mostrato il volto, ma il cui gesto di sfida (la mano che fa segno a David di tentare il sorpasso) sarà il preludio ad un inferno senza via di scampo per il nostro sfortunato consimile. L'autocisterna che lo perseguita assume i connotati di un'entità dotata di coscienza e diabolicamente spietata, la cui sagoma minacciosa appare e scompare all'improvviso tentando più e più volte di ucciderlo e impedendo a chiunque di intervenire per fermarla. Essa è il simbolo degli istinti più bassi dell'animo umano: il desiderio di violenza, l'onnipresente conflittualità, l'istinto di morte, la voglia di attaccar briga, il bisogno di sfida come anelito di vita e l'ebrezza della velocità. Non è un caso che l'antagonista (o il presunto tale, del quale non si conosce nulla e non importa sapere niente) sia un camionista, dunque un individuo di bassa estrazione sociale e, nel nostro caso, incline ad istinti omicidi puramente animali, rappresentati dal mezzo con cui si sposta. Perché l'autocisterna racchiude nel suo stesso aspetto e nel fatto di essere un veicolo motorizzato tutta la brutalità della parte buia dell'animo umano, tesa all'autoeccitazione data dal superamento dei limiti (per un automobilista, quelli di velocità), dalla scomparsa di qualsiasi vincolo legale o anche solo morale e dalla stimolante prospettiva dello scontro uno contro uno. Ed infatti è una guerra fra due contendenti che si consuma in un territorio vasto e desolato, apprentemente privo di regole e inumano, in cui le altre persone non possono e non vogliono intervenire, anzi, a volte finiscono per ostacolare David Mann facendo il gioco dell'autocisterna e del suo misterioso conducente, la rappresentazione del cuore di tenebra dell'essere umano. E in questo contesto inusuale e fantastico, l'uomo normale diventa anch'egli un fuorilegge e un outsider, che passa dallo stupore alla paura ed infine all'odio nei confronti del nemico e all'euforia dovuta al suo annientamento, in un evolversi di emozioni e stati d'animo interpretati superlativamente dal poco famoso Dennis Weaver, che con la sua interpretazione ci fa sentire sulla pelle l'incertezza e lo smarrimento di un uomo ordinario portato al limite della follia, preda di un mostro che lo bracca senza motivo apparente e che trasforma una giornata come tante in un gioco mortale. Ma l'autocisterna non è solo parte della nostra psiche, è molto di più: con il denso fumo emesso dal tubo di scappamento, l'insistente vagito della tromba e i luminosi fari che ricordano due malvagi occhi, diventa l'inquietante simbolo del progresso e del viaggio intrapreso dalla nostra società, che percorre le lande desolate del pianeta inquinandolo e perpetrando ancora oggi la legge del più forte, schiacciando i più deboli e mettendoci gli uni contro gli altri in un enorme gioco al massacro.

Purtroppo sconosciuto ai più, Duel è un film che andrebbe visto, rivisto e valutato più attentamente per il messaggio che contiene oltre che per il grande intrattenimento che ne deriva, e che mostra uno Spielberg all'apice della sua creatività e agli albori di una carriera straordinaria.

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