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Scusa, me lo presti tuo marito?

Regia di David Swift vedi scheda film

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La recensione su Scusa, me lo presti tuo marito?

di PompiereFI
8 stelle

Intorno alla metà degli anni ’60, l’America si svegliava dai sonni agitati dalla troppa perfezione dei colori pastello del decennio precedente. E si apriva a nuove frontiere sociali, culturali e di costume. Via l’ipocrisia e le timidezze del decennio precedente e dentro il “friccico” sentimental-amoroso, la strizzata d’occhio adulterina, l’amore di gruppo (il bridge con 2 morti sembra esser stato superato), la libertà di costume (ammiccamento all’omosessualità tra due mariti), l’indipendenza femminile. Sono questi gli elementi che sconvolgono il tranquillo tran tran di un’agenzia pubblicitaria di San Francisco che, nel suo organigramma, comprende uomini non proprio integerrimi, dediti per lo più al tradimento coniugale.

 

Pur di soddisfare la voglia di lealtà morale, semplicità, purezza e verità di un venditore di latte supponente e bacchettone (un Edward G. Robinson dall’occhio torvo e perfetto baciapile), sacrificano sull’altare della rettitudine un loro impiegato di nome Sam fino a lì ignorato, interpretato con la solita bravura da Jack Lemmon. Gettato in pasto ai leoni dell’alta finanza, il brutto anatroccolo si mescola alle pecore dell’ufficio in un confronto che sembra improbo, tanto che Sam ha solo voglia di lasciar perdere tutto per dedicarsi al suo strambo ingegno di riciclaggio applicato a congegni curiosi.

 

Tratto da un romanzo di Jack Finney, “Scusa, me lo presti tuo marito?” (avventata traduzione dal titolo originale “Good neighbour Sam”) ha al suo arco una serie infinita di frecce, la maggior parte delle quali vanno a segno grazie a una serie di qui pro quo davvero spassosi. Messo da parte il latte e fatto posto allo champagne, rivitalizzati dal cibo di nuove cucine che fanno dimenticare il solito pasticcio di maccheroni ricoperto da un soffocante strato di mozzarella, i personaggi diventano testimoni simbolo di una società che desidera cambiare. A poco servono i tic di cugine altezzose e antiche che esprimono dubbio e disprezzo. I nostri eroi “rivoluzionari” sono costretti ad agire col conforto del buio della notte per non farsi fotografare (giudicare?) da detective inesorabili.

 

Un po’ lungo e fin troppo aperto alle arlecchinate, il titolo merita comunque di essere annoverato tra le commedie più importanti del decennio, non fosse altro per i modernissimi interni e gli sgargianti colori di suppellettili e costumi. Bella come sempre Romy Schneider, in un ruolo dalle discrete sfumature.

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