Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Tre donne sono ricoverate in un reparto maternità gestito da una caposala paziente e comprensiva: Ingrid Thulin ha un aborto spontaneo, capisce che suo marito non la ama e decide di separarsi; Eva Dahlbeck è una sposa appagata ed entusiasta dell’idea di avere un bambino, ma un po’ ingenua; Bibi Andersson è una ragazza sola alla disperata ricerca di aiuto. Dramma da camera pacato e vibrante al tempo stesso: alla fine ognuna delle tre storie trova in qualche modo un aggiustamento, ma non prima di aver rivelato le miserie umane dei personaggi maschili (tutti mediocri o inaffidabili, anche se in modo diverso l’uno dall’altro), seminando dubbi sulla sorte futura delle protagoniste. Nonostante il film nasca su commissione del governo svedese all’interno di una campagna antiabortista, è superfluo rilevare l’abisso di moralità laica che separa Bergman dai moderni fanatici pro life: non assistiamo alla dimostrazione di teoremi ma al racconto di vicende realistiche accadute a persone in carne e ossa, che imparano a riconoscere nella morte una parte della vita e nella solidarietà l’unica risorsa su cui poter contare.
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