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How to Have Sex

Regia di Molly Manning Walker vedi scheda film

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La recensione su How to Have Sex

di pazuzu
7 stelle

È nel conflitto interiore della protagonista, nella sua presa di coscienza di esser stata abusata, ovvero di aver 'subito' un atto sessuale da chi non ha colto - o meglio, ha finto di non cogliere - il senso del suo mancato trasporto, che il film guadagna forza, senso e potenza, assumendo via via le fattezze di un pugno nello stomaco ben assestato.

 

 

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Tre ragazze londinesi si recano sull'isola di Creta per la vacanza estiva che hanno già deciso sarà la migliore della loro vita. Il loro entusiasmo si respira già nel taxi che da Heraklion, dove sono atterrate, le conduce a Malia e al villaggio presso cui hanno deciso di alloggiare, facendo di tutto per farsi assegnare una camera con vista sulla piscina, così da avere l'area più cool sotto controllo in ogni istante.

 

 

How To Have Sex, lungometraggio d'esordio di Molly Manning Walker, parte sposando l'approccio frivolo e spensierato alla vita che la gioventù induce nelle protagoniste, la cui prima preoccupazione è apparire più grandi di quel che sono, affinché l'età non divenga un limite e non impedisca loro di realizzare il proprio sogno: che è perdere la verginità, ma senza nemmeno fare capire di non aver ancora fatto quel passo.
Il divertimento viene prima di tutto, e la club music è lì, pressoché onnipresente a contrappuntare le dichiarazioni bellicose (in fatto di sesso) di Tara, Skye ed Em, e ad accompagnare il loro dimenarsi in discoteca così come i corteggiamenti con Badger, Paddy e Paige, tre ragazzi che occupano la stanza accanto alla loro nel medesimo villaggio.

 

 

Percepita come un passo fisiologico e imminente, come un obiettivo da centrare per poter dire di aver fatto tutto ciò che serve per sentirsi vive all'interno del proprio contesto sociale, la 'prima volta' viene cercata dalle tre ragazze con una leggerezza che rischia di svuotarla della giusta importanza.
Proprio quando un certo limite viene passato, How To Have Sex muta ritmo e registro, incupendosi assieme all'umore di Tara

(Mia McKenna-Bruce), che sparisce nel corso di una notte per tornare l'indomani cambiata dentro, ferita indelebilmente da una violenza che non riesce a denunciare come tale e che anzi maschera, vivendo come un senso di colpa l'anti-romanticismo precedentemente ostentato. È nel conflitto interiore della protagonista, nella sua presa di coscienza di esser stata abusata, ovvero di aver 'subito' un atto sessuale da chi non ha colto - o meglio, ha finto di non cogliere - il senso del suo mancato trasporto, che il film guadagna forza, senso e potenza, assumendo via via le fattezze di un pugno nello stomaco ben assestato.

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