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Dune: Parte due

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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La recensione su Dune: Parte due

di Souther78
5 stelle

Opera seconda di una saga che si approssima a diventare anche serie, in attesa del terzo film. L'operazione commerciale è però malcelata, dietro a un carrozzone di quasi tre ore che, tra lungaggini e ambizioni estetiche forzate, ha poco da dire e da trasmettere, finendo poi per chiudersi perfino in modo repentino e privo di pathos.

 
La seconda parte (di tre) dell'ennesima trasposizione cinematografica di Dune si affida sommamente all'estetica epica e visionaria del regista, segnando una netta cesura con il primo capitolo. Troppa luce, però, rischia di accecare, proprio come il sole che ci viene mostrato a più riprese, talmente sfolgorante da "bruciare" i colori.
 
Chi, come me, non avesse ancora realizzato che il progetto complessivo prevede (almeno!) tre film, avrà una brutta sorpresa sul finale. Qualche ricerca in Rete ci informa che Villeneuve non si dedicherà soltanto al terzo capitolo, ma perfino a una serie contestuale e parallela, con personaggi e storie differenti. Addirittura, del prossimo episodio l'autore dichiara che sarà il miglior film di fantascienza di tutti i tempi, ma che, purtroppo, prima di realizzarlo dovrà riposarsi a causa del superlavoro imposto dalla realizzazione dei primi due capitoli.
Quanto detto da Villeneuve pare a dir poco ridicolo, specie considerando i suoi lavori in generale e Dune in particolare: in generale, il regista ha una grave inclinazione alle lungaggini che diluiscono il racconto e sottraggono godibilità. Inoltre la commercializzazione becera, che rasenta lo sciacallaggio, con la quale ha approcciato il famoso romanzo di fantascienza, rende evidente che l'arte sia da tutt'altra parte (casomai ci fossero stati dubbi in proposito!).
 
Come la più parte del cinema contemporaneo, che cerca di nobilitarsi ricorrendo al bianco e nero, anche in questo caso l'operazione risulta fallimentare, al punto da denotarsi quale vacuo espediente espressivo ostentato e pretenzioso: non è certo così che si può nobilitare ciò che è nato umile.
 
Lo sfruttamento commerciale spinto si traduce in una visione pleonastica e ridondante, che ripete senza aggiungere e riempie senza saziare. Le scene d'azione sono puntini che sfumano nella tela, mentre tutto sembra la preparazione di un finale che, poi, si risolve in quattro e quattr'otto, senza alcun vero pathos. Quasi dalle prime inquadrature si intuisce che la lunghezza (quasi tre ore) non sarà giustificata, tanto che alla fine è doveroso domandarsi per quale ragione, pur volendo sovrasfruttare l'opera letteraria, il regista non abbia perlomeno limitato la durata a non più di un paio d'ore: ciò avrebbe comunque permesso di realizzare tutti gli n episodi prefissati per il ritorno commerciale, senza però appesantire ulteriormente ciò che già nasceva come stiracchiamento forzoso. Il pensiero, giocoforza, va al Viaggio dell'Hobbit, che si dilunga per tre noiosi film, mentre uno sarebbe stato più che sufficiente.
 
Perfino la trasformazione psicologica del protagonista, pure al centro della narrazione, giunge infine inattesa e ingiustificata, risolvendosi in un cambiamento "da copione" che lascia l'amaro in bocca.
Non mancano nemmeno i rimandi visivi al nazismo, con sfilate a passo d'oca e bandiere chiaramente evocative di quelle con la svastica. E che dire delle "cavalcate" dei vermi? A parte lasciare nel pubblico il dubbio irrisolto circa la modalità di controllo della direzione, quanti, come me, hanno immaginato un finale "parallelo" (e magari umoristico), in cui i vermi tornano sottoterra, trascinando con sè gli spavaldi e improvvisati cavalieri?
 
Non tutto è da scartare, beninteso. Cionondimeno, la sensazione è che sarebbe stato meglio affastellare meno velleità, e affidarsi a una narrazione più compatta, essenziale, ordinaria e meno pretenziosa. Il fatto che per buona parte del film si ascoltino dialoghi in lingua immaginaria, si vedano scene bianco e nero o con sovraesposizione tale da rendere le immagini invadenti, finisce per minarne la fruibilità e la scorrevolezza, in nome di una apparente rincorsa all'autorialità che semplicemente non c'è.
 
Impossibile non accostare questa saga all'opera di Lucas, che ha letteralmente creato la saga fantascientifica cinematografica. Anche in questo caso, il paragone è impietoso: pochi espedienti erano stati sufficienti a suscitare i brividi all'entrata in scena dei "cattivi". Qui sembra più che ovvio il tentativo di emulazione, accostando il barone di Arkonnen a Darth Vader, nel momento della vestizione e dell'"assemblaggio". Eppure, i personaggi restano scarsamente evocativi: troppo o troppo poco "cattivi", ma, in ogni caso, privi di spessore. Austin Butler, pur convincente nella recitazione e nell'espressività, è ben lungi dall'assumere lo spessore drammatico che avrebbe meritato il suo personaggio. 
 
La sensazione, a fine visione, è quella di un pasto troppo pesante, ricco di portate, la maggior parte delle quali, però, insipide: un ristorante in cui non verrebbe voglia di tornare. Su tali premesse, che il terzo capitolo possa aggiungere qualcosa non è da escludere, ma che possa superare capolavori del genere fantascientifico, a partire da 2001 Odissea nello spazio, pare un'ostentazione presuntuosa e arrogante, volta semplicemente a creare aspettativa nel pubblico. Se è vero che ogni saga spinge implica che qualcuno farà in tempo a morire, prima di vederne la conclusione, possiamo però ben dire che non sarà di certo Dune a farci disperare per tale ipotesi.
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