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Hometown - La strada dei ricordi

Regia di Mateusz Kudla, Anna Kokoszka-Romer vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Hometown - La strada dei ricordi

di laulilla
8 stelle

Ryszard Horowitz e Roman Polanski: un’infanzia e a Cracovia e una vita avventurosa, per sfuggire alla spietata caccia agli ebrei delle SS che occupavano la città e che avevano trasferito nel recinto del ghetto le rispettive famiglie…

 

Roman era cresciuto  lungo le strade della bellissima capitale che avrebbe dovuto abbandonare, così come la scuola, che frequentava o la sala del cinema locale dove si proiettavano film bruttissimi, ma dove si respirava la speciale magia e la passione per le immagini in movimento che mai avrebbe dimenticato.

Più giovane di sei anni, il piccolo Orowitz fu destinato ad Auschwitz, ma era entrato nella lista di Schindler, ciò che gli aveva permesso di approdare negli Stati Uniti dove aveva potuto studiare e dedicarsi alla sua passione di sempre: la fotografia.

 

Messo in salvo fortunosamente e, dopo varie peripezie, affidato a un famiglia di contadini cattolici, gente per bene, suffiicientemente defilati dagli orrori della guerra, Polanski aveva trovato accoglienza amorevole fra loro, che cercavano di fargli dimenticare, col lavoro dei campi e con la pace tranquilla dei ritmi naturali, gli orrori del ghetto, dal quale era riuscito a fuggire.

Lì, un giorno, aveva visto, fra le nuvole, scendere l’aereo americano della flottiglia che – preceduta dalla fanteria dell’Armata Rossa sovietica penetrata ad Auschwitz – aveva definitivamente posto fine ai deliri hitleriani.

 

Si erano ora incontrati a Cracovia, Roman  e Ryszard, entrambi vecchi, ormai, ma felici ed emozionati: Polanski più brioso e vivace, curioso di rivedere la città, deluso per i restauri che l’avevano trasformata in una specie di Disneyland senza personalità; più tranquillo – forse più timido – Orowitz, che per lunghi tratti si lascia guidare da Roman lungo le vecchie strade ripulite, dove, a ben cercare, qualche traccia della sua storia passata è possibile ritrovare anche per la forza evocativa delle sue parole commosse.

Così per l’amico fotografo, che non ha dimenticato affatto la casa di famiglia, la “camera oscura” in cui – molto alla buona – i sanitari del bagno erano utilizzati come vasche per lo sviluppo dei negativi fotografici…

Con lui Roman aveva voluto rivedere il cimitero ebraico e aveva evocato, con ironia affettuosa, i funerali del padre, durante i quali, il peso del feretro, sulle sue spalle fragili di ragazzo poco cresciuto per gli stenti e la cattiva alimentazione infantile, aveva provocato un macabro (e un po' buffo, ai suoi occhi di vecchio) incidente.

 

In questo modo, tra ironia e commozione si snoda il breve film – documentario, forse – che soprattutto è un viaggio nel passato personale, memoria ritrovata e rivissuta con grande disponibilità a raccontarsi, nonostante tutto. Sappiamo come un tragico destino ne avrebbe segnato la vita successivamente e come negli Stati Uniti molti ancora vedano in lui un nemico, uomo del demonio da perseguitare instancabilmente.

 

 

 

 

 

Noi che amiamo i suoi film e che abbiamo sofferto per l’enormità delle ingiustizie e delle sciagure che lo hanno colpito, gli siamo molto grati per l’immagine che ci ha trasmesso di sé, anche come attore di questa commovente pellicola, i cui registi ce lo mostrano - con intelligente scelta delle immagini - ancora combattivo e capace di cogliere, quasi novantenne, la gioia dell’amore per la sua Emmanuelle e anche quella di diventare padre che - per troppo tempo precluse e tragicamente negate - a lungo aveva creduto del tutto fuori dal proprio destino. 

 

In Italia, molto opportunamente nelle sale, in occasione del 27 gennaio, giorno della memoria.

 

 

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