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Inizio di primavera

Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film

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La recensione su Inizio di primavera

di EightAndHalf
8 stelle

Quale dolce tristezza si diffonde a partire dalle opere di Yasujiro Ozu! Quel senso di malinconia che pervade molti momenti della giornata di ognuno di noi, quell'ansia da insoddisfazione che sembra non placarsi mai, e che non si esprime tramite esplosioni di isterismo o esagitati tentativi di cambiamento, ma semplicemente attraverso i piccoli gesti quotidiani che invero occupano la stragrande maggioranza dei minuti di questo candido ma disincantato Inizio di primavera. Non si esce annientati dalle incredibili irruzioni delle musiche solo per la triste storia che viene raccontata, ma perché in quelli che apparentemente, a una lettura superficiale, costituiscono dei tempi morti, in realtà si addensano riflessioni e mestizia che animano i momenti d'ogni giorno di chiunque, e affliggono più della tragedia o della morte di qualcuno perché costanti, immortali, implacabali e insiti direttamente nella natura degli uomini, specie in quel Giappone nel secondo Dopoguerra che sembrava risentire direttamente nei rapporti umani di quella terribile aura di desolazione che aveva lasciato dietro di sé, come con una scia, la Seconda Guerra Mondiale. E tanto più lo spettatore medio può sentirsi coinvolto e altrettanto desolato, disarmato, di fronte alla visione della maggioranza dei film di Ozu, perché il regista giapponese opera direttamente nel campo del solito, dello stranoto, del banale, tanto che tutti i suoi film possono essere letti a livello universale e decontestualizzati da quelle anguste abitazioni in cui i personaggi si muovono e, inevitabilmente, soffrono, e possono essere compresi e assimilati da chi, ogni giorno, vive in egual modo simile avvilimento.
I casi umani presi in considerazione da Ozu presentano sempre situazioni particolari ma anche profondamente comuni, con le quali l'empatia è praticamente assicurata; il suo sguardo, che sembra sempre sedersi a terra con i suoi personaggi, o in generali osservarli dal basso verso l'alto come a voler conferire loro grande dignità, è, in Inizio di primavera, più mobile del solito, segue i suoi protagonisti nella passeggiata in campagna, si muove per ben tre volte all'interno dell'ufficio dove il protagonista Sugiyama lavora, accelera insieme al furgone su cui Sugi e la sua (più che) amica Kanako sono tutt'ad un tratto saliti, sembra riuscire a cogliere momenti di distensione. Ma questi movimenti (rari e sporadici) contraddisguono la prima parte di questo lungometraggio, e si riducono notevolmente in una seconda parte ben più drammatica e narrativamente più densa. Anche parlando di universalizzazione delle tematiche contenute in Ozu (che anche è possibile in questo particolare film), non si può non tener conto del contesto che lui pure con tanta attenzione mette in scena: oltre che del Secondo Dopoguerra, si parla di una coppia di sposi che hanno perso un figlio, si parla di un presente in cui le tragedie del passato si sono trasformate in malcontenti quotidiani, si parla di un ceto lavorativo che pure opera negli uffici e nelle aziende, ma compie sempre lo stesso lavoro e le stesse attività tanto da reagire sempre male alla ripetitività e alla ritmica disarmonica cadenza delle macchine da scrivere, delle scartoffie e dei rumori da ufficio, cosicché la loro sensazione è di (soprav)vivere all'interno di prigioni senza gabbie in cui sono costretti a congelare i loro problemi e a occuparsi di faccende ben (meno) importanti. La loro costante litania, però, inerente alla drammaticità della loro condizione lavorativa, va a danneggiare direttamente quella dimensione sentimentale che pure rappresenterebbe una consolazione dal trantran quotidiano ma che viene sottovalutata o, meglio, data per scontato. E questo rende tutti i personaggi (essenzialmente quelli maschili) nella vicenda sia vittime che colpevoli di questa improvvisa incapacità di ricordarsi e di riscoprire di essere, da qualche altra parte, amati da qualcuno. Così le mogli vivono in quelle stesse anguste abitazioni sopportando le ubriacature e le assenze del marito, sopportando le sue avventure adulterine, forse senza battere ciglio, probabilmente rinunciando a farlo, magari sperando che sia l'ultima volta. Loro vivono, e affrontano di petto il tedio abituale cercando di accettarlo o, quantomeno, di rassegnarsi, grazie ad un'ingenuità che pure è il motore comune di tutti i personaggi di Ozu: quale ingenuità il protagonista che, nel tentativo disperato di rimuovere e dimenticare la sofferenza per la morte del figlio (leggibile anche sul volto della moglie), cerca consolazione in un'altra fragile donna; quale ingenuità la moglie del protagonista, che pensa di poter prendere posizione ma prende lentamente coscienza di quelle che potrebbero essere le vere ragioni della crisi che attraversa la psiche del marito; quale ingenuità l'amante, che affronta la ritrosia del suo uomo con sorrisi, carezze e speranza; quale ingenuità i colleghi del marito, che assediano l'amante pensando di essere nella posizione di accusarla di mancanza di coscienza e di essere la fonte di sofferenza per la moglie; quale ingenuità queste anime evanescenti, che pure il cinema di un tempo riesce a rappresentare con cotanto candore e delicatezza. 
Un film dunque sull'ingenuità dell'essere umano, nel bene e nel male, che attraverso gli stralci di vita quotidiana e le sofferenze giornaliere spolpa le interiorità delle persone e ne scava le coscienze, fino a scoprirne la speranza in una rinascita, o addirittura nella speranza stessa. 

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