Un professore universitario di nome Lucio, un po' oppresso da una problematica situazione familiare che lo ha ridotto solo e incompreso, accetta un incarico temporaneo presso una scuola di un quartiere popolare della periferia di Buenos Aires che è proprio quello in cui egli ha vissuto la propria giovinezza.
La sua materia è letteratura, e sin dal primo accesso in aula il docente cerca di indagare da cosa è motivato il vistoso disinteresse che i suoi nuovi alunni provano per la materia che egli è incaricato di far loro apprendere.
Nel cercare di far comprendere come la letteratura possa costituire un veicolo ideale per viaggiare al di fuori della spesso dura vita di quartiere che caratterizza quei giovani sbandati e disillusi, Lucio si imbatte in un alunno che è vessato e preso di mira da un boss della malavita locale.
Non ci penserà un momento a schierarsi dalla parte del giovane, aiutandolo a sfuggire alle avvolgenti maglie di una criminalità impunita e imperversante.
Il regista argentino Diego Lerman, quello del riuscito Refugiado (2019), visto al Festival di Cannes alla Quinzaine del 2014, torna con un film che si pone a monito di un mondo ove la prepotenza si impone sul desiderio di conoscere e di scoprire i veri valori culturali e sociali che delineano i caratteri di un mondo decisamente diverso dalla realtà che circonda i protagonisti.
Di nobili intenti, e nonostante qualche tentazione sin troppo pedagogica e pedantemente scolastica ad affrontare tematiche di fatto tutt'altro che nuove, nonostante sin troppe sfaccettature che intervengono a volte anche un po' confusamente a mescolarsi assieme alla vicenda portante, il film di Lerman si avvale di una interpretazione accorata da parte del valido protagonista Juan Minujin, già apprezzato altrove in film d'autore come Zama della Martel (2017), a cui si affiancano, seppur in ruoli di contorno, interpreti di fama internazionale come Alfredo Castro e la sempre bellissima Barbara Lennie.
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