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Pinocchio

Regia di Guillermo Del Toro, Mark Gustafson vedi scheda film

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La recensione su Pinocchio

di Gangs 87
9 stelle

Italia, anni ’30, il fascismo dilania il bel paese. Geppetto perde prematuramente il figlio Carlo. Per lenire il suo dolore si costruisce un burattino di legno che chiama Pinocchio.

 

La storia più nota di sempre, con numerose trasposizioni, dall’animazione ai film televisivi, è senza dubbio quella di Pinocchio narrata in ogni modo e in ogni tempo, ognuna con una sua caratteristica memorabile o piuttosto irritante. Eppure la versione di Guillermo del Toro è stupefacente, diversa da ognuna di quelle pensate e realizzate in precedenza. L’originalità che la contraddistingue si intravede già dall’incipit della narrazione; l’idea di inventarsi un figlio per Geppetto, il cui nome è un chiaro omaggio all’autore della favola, e collocare entrambi nel periodo storico più oscuro del bel paese, da una parte sembra un azzardo e dall’altra un atto di estremo coraggio.

 

Azzardo e coraggio che possiedono però una personalità talmente coinvolgente da riuscire ancora una volta ad ammaliare lo spettatore. del Toro parte dalla fiaba dell'autore e illustratore Gris Grimly, ideata nel 2002, e attraverso l’utilizzo della stop-motion, anima i personaggi dandogli una caratterizzazione quasi umana. Lascia di base gli elementi rappresentativi della fiaba di Collodi: Lucignolo, la Balena, il divenire bambino, ma ci costruisce intorno una storia completamente diversa pur lasciando che, alla fine, tutto torni.

 

Inizialmente si potrebbe faticare ad immedesimarsi nella narrazione, soprattutto per chi conosce la fiaba fa strano vederla stravolta ma, quando ci si ricorda il regista, diventa più facile lasciarsi trascinare e affascinare da queste nuova versione. La decisione di umanizzare il burattino dandogli l’anima senza modificarne l’aspetto, solo dopo avergli attribuito una coscienza (la forma è sempre quella del grillo che vive letteralmente nel cuore del burattino) e avergli insegnato l’amore, carica la pellicola di un’emotività sconvolgente che straripa nel finale.

 

La carica emotiva unita all’ambientazione storica, non può non farci tornare in mente Il labirinto del fauno, una delle pellicole più belle del regista messicano (che ad oggi resta la mia preferita in assoluto), pur realizzando che grazie all’animazione il regista riesce a spaziare nell’immaginazione in modo sicuramente più concreto di quanto abbia potuto fare nella pellicola citata. Di questo ne giovano soprattutto i vari personaggi: Mangiafuoco è visivamente stupendo, ma anche lo stesso Geppetto è caratterizzato da questa anzianità che lo contraddistingue.

 

Non sono solo i personaggi della pellicola di del Toro ad essere interessanti ma anche la sottotrama che lo stesso costruisce e che possiede dei messaggi universali. L’importanza della vita o del tempo che passa, la cui percezione cambia in base alla situazione in cui ci si trova, o anche l’effetto che una parola o un gesto può avere anche a distanza di tempo. La morte onnipresente che del Toro richiama in più occasioni e in diverse forse quasi a volerla esorcizzare.

 

Il Pinocchio di Guillermo del Toro è bellissimo da guardare ma anche da assimilare. Lentamente di entra dentro con naturalezza lasciandoti una sensazione di tristezza gioiosa; commuove fino alle lacrime ma ti avvolge di quel calore tipico delle fiabe raccontante ai bordi del letto qualche minuto prima di andare a dormire.

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