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Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville

Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film

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La recensione su Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville

di maso
8 stelle

 

 

Alphaville e la ville lumière sono una cosa sola nel caleidoscopio godardiano a riflessi bianco e neri, è un mondo futuro precipitato sulla Parigi degli anni 60 palcoscenico in cemento di questa strana avventura dell'agente segreto 003 Lemmy Caution, già protagonista di altre indagini ma tutte limitate all'ambito filmico terrestre mentre questa volta il nostro eroe deve affrontare una realtà orwelliana dominata  dal cervellone artificiale Alpha 60 che come il nostro affezionatissimo End User vigila con il suo occhio ventilatore intermittente sugli esseri che popolano questa comunità.

Lemmy, proveniente dal mondo esterno con la sua Ford Galaxy, si spaccia per un giornalista del Figaro-pravda alla ricerca dello scienziato Nosferatu, ora Von Braun, inventore del sistema cibernetico che controlla le menti degli abitanti di Alphaville, privandoli degli istinti e dei sentimenti, la sua missione non è però di intervistarlo ma di riportarlo indietro. Posta tale premessa si potrebbe immaginare un film condito da pistole laser, scenografie avveniristiche e battaglie galattiche ma così non è perchè Alphaville è un caposaldo della nouvelle vague, molte volte questo binomio viene usato in fase di commento senza sapere bene che cosa significa: certo si sa che tradotto vuol dire nuova tendenza, nuova moda, ma che cosa c’è di diverso in un film così targato ed uno pre nouvelle vague?

La risposta può sintetizzarsi in una sola parola: libertà, intesa come libertà di espressione e di esecuzione; per comprendere meglio cosa voglio dire bisogna tornare indietro di 60 anni e capire che fino a quel momento il modo di fare cinema era legato a canoni fortemente radicati come riprendere gli avvenimenti in set chiusi, non toccare argomenti scomodi o scabrosi, non mostrare chiappe scoperte se non peggio, Godard invece ha avuto il grande merito di essere uno dei primi a non curarsi affatto di tali regole e di realizzare un film con la paghetta mensile di 50 franchi della mamma.

Il set di Alphaville è Parigi stessa, con i suoi uffici in palazzoni di periferia o le caotiche strade notturne e l’alberghetto sgarrupato dove Lemmy entra in contatto con un suo collega che lo ha preceduto nella missione ma ha fallito perché ammaliato dalle puttane impermeabilizzate che Alpha 60 gli spedisce per tenerlo a bada, gli abiti indossati dai personaggi sono del tutto convenzionali, la pistola e la macchina fotografica del protagonista sono due giocattoli, compare un bel fondoschiena in vetrina, compare un JukeBox nella stanza di Lemmy e compare anche la bellissima figlia di Von Braun,  Anna Karina che diventerà involontariamente lo scopo della missione per Lemmy.

Godard quindi ci racconta la fantascienza attraverso la realtà senza spendere una soldo per modificarla, ed indubbiamente l’effetto riesce, non senza annoiare a volte ma è fuori dubbio che questa sua fatica ha inspirato molti film successivi, primo fra tutti THX 1138 di Lucas che in alcuni segmenti sembra la copia sputata del film in questione.

Questa volta devo quindi applaudire Godard, che non è mai stato uno dei miei idoli perchè del suo lavoro non avevo visto poi così tanto e quel poco da me visto mi aveva spesso dato l’impressione di un cinema troppo personale ed approssimativo, in cui la fotografia è un elemento marginale. Alphaville è secondo me un film importante e da vedere ma comprendo benissimo chi lo trova noioso ed obsoleto. Un'ultima curiosità: nella versione in francese a cui ho assistito la voce del computerone Alpha 60 è affidata ad un uomo munito di un'apparecchiatura che amplifica la vibrazione delle corde vocali in modo da farla sembrare metallica ed artificiale.

 

 

Dedicato a Eddie Constantine e Marcello del Campo

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