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A Classic Horror Story

Regia di Roberto De Feo, Paolo Strippoli vedi scheda film

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La recensione su A Classic Horror Story

di SamHookey
6 stelle

A ‘Nduja Horror Party: bene ma non benissimo l’opera seconda di De Feo

 

A ‘Nduja Horror Party: bene ma non benissimo l’opera seconda di De Feo (dopo l’ottimo The Nest), stavolta in coppia con Paolo Strippoli (alla sua prima prova). Una ragazza inchiodata per i palmi a una sedia davanti alla tavola imbandita da una schiera di rurali psicopatici. Sembra una scena presa di peso da Non aprite quella porta e infatti così è. Solo che stavolta siamo in Calabria, i bifolchi antagonisti non sono antropofagi redneck ma gioviali commensali di una casereccia festa paesana e le vittime designate non sono emancipati giovinetti in furgoncino ma un variegato manipolo di carpooler 2.0 (app e piattaforme social avranno parecchia importanza nell’evolversi della vicenda). Impossibile fare spoiler: tutto è telefonato e prevedibile sin dall’inizio. Ma non è necessariamente un difetto se si sta al gioco dei due registi, che si divertono a porre lo spettatore di fronte a un’infinita serie di classiche – ma tu guarda – situazioni da film dell’orrore (risparmio la citazione delle pellicole coinvolte, son quelle dai). Le ragioni – anche queste piuttosto prevedibili, a dirla tutta – di questa fiera del già visto arriveranno intorno alla fine: c’entrano Gino Paoli, Chi l’ha visto? (peccato che il suo pubblico probabilmente non vedrà mai questo film) e qualche smartphone di troppo. In ogni caso, a parte un paio di dialoghi imbarazzanti (c’è una battuta sulle Tartarughe Ninja ma l’ho fortunatamente rimossa), una sequenza piuttosto antipatica sui titoli di coda (davvero è colpa del pubblico se non esiste più il cinema di genere in Italia?) e il fatto che ci sia poco più di una goccia di sangue (carenza abbastanza grave per un presunto slasher), il film comunque viaggia bene: regia e fotografia non sono affatto male, ci sono le facce giuste (su tutti Matilda Lutz, da Revenge con furore), c’è una casa molto carina (senza soffitto e senza cucina) e c’è pure l’ispettore Fazio di Montalbano. Al di là dei titoloni americani esplicitamente scopiazzati, ritorna più di un’eco (involontaria?) da Non si sevizia un paperino di Fulci, a ricordare che ‘horror italiano’ non è proprio un ossimoro: l’uso antinomico della musica (leggera, anzi leggerissima), la totale mancanza di pietà per i bambini (ancora meglio se antipatici), la crudele indifferenza della società di massa (che anche qui assume le grottesche sembianze degli estivi vacanzieri) e un italico folklore che va perfettamente a braccetto con il più cieco orrore (cosa poi non così comune).

Ps. Merita una menzione speciale il giovane interprete del bambino coi braccioli rossi, perfetto nella parte.

 

Matilda Anna Ingrid Lutz

A Classic Horror Story (2021): Matilda Anna Ingrid Lutz

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