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L'ultimo paradiso

Regia di Rocco Ricciardulli vedi scheda film

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La recensione su L'ultimo paradiso

di marcopolo30
6 stelle

Scamarcio scrive, produce e interpreta un dramma ambientato nelle Puglie rurali degli anni '50. La pellicola offre un interessante spaccato su tale realtà, ma la vicenda narrata prende davvero vita solo nella seconda metà del film. VOTO: 6

Partiamo dalle buone notizie che ci arrivano da questo “L'ultimo paradiso”: Riccardo Scamarcio è con gli anni diventato un buon attore. Mai l'avrei detto, sinceramente. Un po' quello che a Hollywood è successo con Di Caprio, che da bambolone belloccio inespressivo si è trasformato in uno dei migliori in assoluto. Insomma, i miracoli accadono e quindi persino... Raoul Bova potrebbe ancora sperare. Tornando al film in questione, scritto (oltre che interpretato e prodotto) dallo stesso Scamarcio e diretto da Rocco Ricciardulli, ci porta indietro con l'azione alle Puglie degli anni '50, una regione rurale e arretrata dove pochissimi si arricchiscono e dettano legge sulle masse contadine. Piena zona Ignazio Silone insomma, con le Puglie al posto dell'Abruzzo. Protagonista della vicenda narrata è Ciccio Paradiso, ribelle e sciupafemmine che per sua stessa ammissione non teme nessuno. Porta avanti la propria improba lotta su due versanti ben distanti: quella proto-sindacalista, ergendosi a leader dei contadini sfruttati, e quella personale, seducendo proprio la giovane figlia del temutissimo signorotto locale. Rivelare che tale don-chisciottiana lotta fallirà miseramente è magari uno spoiler, ma di lillipuziane dimensioni, giacché la sua sconfitta è praticamente annunciata sin dalla prima pagina. Il colpo di genio dello script arriva però a metà film, con l'assassinio di Ciccio e l'entrata in scena del suo fratello gemello Antonio, interpretato anche questi da Scamarcio, chiaramente. Se la prima parte si risolveva in una presentazione piatta e lineare della situazione, il ritorno (dal Nord Italia) di Antonio e le conseguenti dinamiche a cui tale arrivo da vita dimostrano ottima inventiva da parte degli autori, nonché bravura di Scamarcio nel dare a ciascuno dei due fratelli una caratterizzazione distinta e ben credibile. Non era facile. Ben realizzata è anche la rappresentazione della vita di paese nel Sud Italia nel dopoguerra, sebbene i costumi appaiano a volte anacronistici o quanto meno di eccessiva qualità considerando la generalizzata povertà che ci viene presentata. Per quel che riguarda il cast, tiene degnamente testa a Scamarcio Antonio Gerardi, sinistro e durissimo nello scomodo ruolo del 'cattivo' Cumpa' Schettino. Del tutto fuori contesto invece la scena sulle note della canzone francese "Que reste-t-il de nos amours?”. Davvero non so come gli sia venuto in mente di infilarla nel film.

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