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Io amo Andrea

Regia di Francesco Nuti vedi scheda film

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La recensione su Io amo Andrea

di marcopolo30
2 stelle

Film da dimenticare con un Francesco Nuti ormai in disarmo che con pochissime idee cerca comunque di riempire cento minuti di pellicola. Il risultato è un'opera imbarazzante che riesce solo a far rimpiangere i tempi d'oro dell'attore-regista pratese.

Di fronte ad un'opera come questo “Io amo Andrea” è davvero difficile trovare parole adeguate per descriverla. Difficile e per la dappochezza dell'oggetto in questione, e -e soprattutto- perché si è a conoscenza del fatto che lo stesso autore che l'ha realizzata era stato capace di dar vita, solo pochi anni prima, a prodotti per nulla disprezzabili. Cosa possa essere accaduto alla verve di Francesco Nuti nel corso degli anni '90 resterà per sempre un mistero. Perché se già con il precedente “Il signor quindicipalle” l'attore-regista pratese aveva dato chiarissimi segni di appannamento, qui il tracollo diventa totale e ahinoi irreversibile (irreversibile a causa delle sfortunatissime vicende personali di cui sarà protagonista di lì a poco). “Io amo Andrea” da a tratti l'impressione di ispirarsi a “Stregati”, suo grande successo anni '80 comunque esilissimo a livello cinematografico e tenuto in piedi dall'estro del Nuti prima maniera. Sfortunatamente i tempi sono cambiati e Nuti, ben lontano dalla forma smagliante dei bei giorni, è qui protagonista solo perché è lui stesso a dirigere e persino a produrre il film, ma è in disarmo e non avendo i mezzi per tenere a galla la barca (o bagnarola?) va a fondo con tutta essa, co-protagonista Francesca Neri inclusa. Il soggetto, oltre che banale, è davvero striminzito, e Nuti è quindi costretto, per poterlo trasformare in una pellicola di 100 minuti, ad usare i più triti escamotages per stirarlo all'inverosimile. E il risultato sono cento minuti banali, scontati e smussati che strappano un sorriso a denti stretti di numero (quando Dado risponde ad Andrea che gli chiede se è mai stato con un uomo: “No, io ero comunista”). Unico punto a favore del film è forse l'assenza totale del biliardo, gioco che Nuti era solito inserire a forza dove e comunque, ma viene qui sostituito da qualcosa di peggio, dallo stesso regista che si reinventa Gene Kelly dei poveri in un appartamento allagato, punto nadir del punto nadir della parabola artistica di un Francesco Nuti incapace di rinunciare anche solo per una volta a quel ruolo da protagonista mattatore piacione che l'aveva portato alla fama.

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