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La terra dei figli

Regia di Claudio Cupellini vedi scheda film

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Souther78

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La recensione su La terra dei figli

di Souther78
6 stelle

Fantascienza nelle premesse, dramma negli esiti. Tanti, forse troppi, stimoli, che finiscono per disperdersi in una esposizione impaziente di passare a quello (stimolo) successivo. Spesso meno è meglio, e La terra dei figli non fa eccezione. Ambientazioni, fotografia e (alcuni) attori mettono comunque una pezza e il risultato e sufficiente.

Dalla seconda metà degli anni 2000 in poi, la produzione di film post-apocalittici è stata esponenziale. Prima, di film "importanti" in questo genere se ne contavano forse una dozzina scarsa. Dagli anni '90 c'era stata qualche avvisaglia, che poi ha innescato un fenomeno quasi (o più che) inquietante: perfino 7-8 produzioni OGNI ANNO. La fantasia distruttiva di autori e registi, per quanto sbizzarritasi, si è comunque polarizzata attorno a un paio di macro-temi, distinguibili tra i fattori esogeni (tracollo ambientale o malattie a causa umana) e quelli esogeni (alieni, meteoriti, malattie naturali). La rivisitazione del tema all'italiana sposa l'impostazione di The Road, rinunciando (quasi del tutto) a spiegare le cause. L'incipit sembra un omaggio a Waterworld, mentre titolo e temi ricordano un connubio tra Divergent e I figli degli uomini. L'ambientazione iniziale, poi, ricorda a tratti la fanga di tognazziana memoria (Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno). Descritti gli ingredienti, la domanda è lecita: sarà digeribile, questo frullato? Ebbene... nì! Giudicare un'opera soltanto in base alla sua originalità sarebbe facile, ma superficiale. Inoltre, se South Park ci ha insegnato qualcosa (vd. I Simpson lo hanno già fatto), è che non si può pretendere di essere i primi, quando ci si confronta con un genere che ha decenni sul groppone, ma non per questo è giusto rinunciare a dire la propria.

 

A onor di cronaca non si può neppure tacere che, se paragonato al cinema italiano, questo film può comunque considerarsi originale nella storia e nell'ambientazione. E, in effetti, proprio la fotografia e l'atmosfera che è capace di trasmettere giocano un ruolo fondamentale nel corso di tutta la visione, e incidono positivamente sul giudizio finale. Anche la crudezza delle situazioni è assai poco nostrana, e può dunque considerarsi (almeno relativamente) originale. Se, poi, ciò paghi o meno, è un altro discorso. Il cast è solido, e, pur se di contorno, colpiscono Golino e Mastandrea. Al contrario, il giovane protagonista sulle prime delude un po', rivelandosi alquanto molesto e poco amabile. Forse, però, è così che doveva essere, per svolgere il ruolo assegnatogli.

 

La trama esile presta il fianco a più di una critica: se, da un lato, le sciagure sembrano abbattersi sul protagonista con una frequenza impensabile perfino per il proverbiale Murphy (da cui le "leggi"), anche la loro risoluzione sembra rappresentare un paradigma indiscusso all'interno dell'opera. Qualcuno lo ha ritenuto un film troppo lungo e lento. Forse, però, la lentezza è semplicemente nel posto sbagliato, cioè nella costruzione di premesse che sembrano non addivenire mai a maturazione, salvo poi risolversi (appunto) in modo quasi automatico. Probabilmente avrebbe giovato lasciar crescere maggiormente la tensione, i preparativi per affrontare le crisi, e, quindi, dar modo allo spettatore di "partecipare" emotivamente, anzichè correre il rischio di perdersi momenti essenziali, magari per aver sternutito (ok, sto drammatizzando).

 

Peccato per i tratti frettolosi con cui si sono tracciate alcune situazioni, cariche di potenziale. Resta, comunque, un'opera godibile, sia pur con aspirazioni alte e inarrivate, con qualcosa da dire.

 

Come non chiudere, però, con l'amletico dilemma: è la catastrofe, che crea la paura, o la paura, che crea la catastrofe?

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