Espandi menu
cerca
L'ultimo treno della notte

Regia di Aldo Lado vedi scheda film

Recensioni

L'autore

undying

undying

Iscritto dal 10 giugno 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 125
  • Post 41
  • Recensioni 2990
  • Playlist 58
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'ultimo treno della notte

di undying
8 stelle

Sulla scia dell'ondata "Rape & Revenge" avviata dal successo di L'ultima casa a sinistra (Wes Craven, 1972), anche in Italia si tenta di sfruttare questo popolare filone cinematografico. Tra i primi a dire la sua un filosofico Aldo Lado, autore dotato di uno stile personale sempre in grado di coniugare tematiche còlte con la più pura exploition.


lultimo-treno-della-notte

 

Monaco, vigilia di Natale. Due ragazze -  Lisa Stradi (Laura D'Angelo) e sua cugina tedesca Margareth (Irene Miracle) - si trovano alla stazione centrale, dove salgono su un treno diretto a Verona per raggiungere il padre di Lisa, Giulio (Enrico Maria Salerno), un rinomato chirurgo. Su quello stesso convoglio sono a bordo anche due sfaccendati (Flavio Bucci e Gianfranco De Grassi), drogati in vena di compiere atti vandalici. Lisa e Margareth notano, in uno scompartimento, una donna aristocratica (Macha Méril) tenere un insolito atteggiamento, quindi fanno conoscenza con i due teppisti senza immaginare il terribile sviluppo degli eventi. Nonostante le due ragazze decidano, alla fermata doganale, di cambiare treno, anche sul nuovo mezzo incontrano la donna bionda e i due malviventi. In un allucinante crescendo di follia, Lisa e Margareth subiscono violenza psicologica e sessuale, compiuta dai due depravati individui stimolati nelle loro sordide azioni dalla ricca e perversa signora. Uno squallido guardone (Franco Fabrizi) assiste eccitato, senza prestare soccorso. Il perfido gioco si fa sempre più spietato e feroce, tanto che Lisa - ancora vergine - viene deflorata con un coltello. Una  violenza che le provoca una mortale emorragia. Margareth, impaurita e sconvolta, tenta di fuggire gettandosi dal treno in corsa, andando incontro a un destino fatale. Ormai complici della sconosciuta "signora", rimasta lievemente ferita durante lo stupro, i violentatori si liberano del corpo di Lisa gettandolo dal finestrino. Quando il treno raggiunge la destinazione italiana, i coniugi Stradi con certa apprensione scoprono che le ragazze non sono presenti. Chiedono informazioni al capo stazione e, durante l'attesa, incrociano la donna ferita. Giulio, essendo un medico, si offre di ospitarla a casa per curarla. I due violentatori decidono di seguirla, finendo tutti e tre a casa di Stradi. Il tempo passa, la radio diffonde la notizia del ritrovamento dei corpi di Lisa e Margareth dando la tragica conferma della loro morte ai coniugi Stradi. Un banale indizio, una cravatta acquistata come regalo da Lisa, porta Giulio al convincimento che i suoi ospiti siano responsabili di un duplice delitto. La sua reazione sarà implacabile, ma fallibile: dopo aver massacrato i due drogati, incerto sulle responsabilità dell'aristocratica signora, decide di risparmirgli la vita.

 

scena

L'ultimo treno della notte (1975): scena

 

Uno dei migliori esemplari di rape & revenge influenzati dal capostipite americano L'ultima casa a sinistra (Wes Craven, 1972), primo di una quadrilogia tricolore che ha saputo lasciare il segno a livello internazionale. Seguiranno La settima donna (Franco Prosperi, 1978), La casa sperduta nel parco (Ruggero Deodato, 1980, con lo stesso interprete, David Hess, presente nel film di Craven) mentre, con Il porno shop della settima strada (1979), Joe D'Amato ne offre una personale rilettura sfumando la componente thriller in favore di una tematica sostanzialmente erotica. Aldo Lado, regista e sceneggiatore intellettuale solitamente coinvolto nella lavorazione di pellicole di genere contenenti metafore dichiaratamente politiche o dai mai banali risvolti sociologici (dal film d'esordio La corte notte delle bambole di vetro a Chi l'ha vista morire?), elabora - con l'apporto ai testi di Roberto Infascelli (padre del regista Alex, nonché fratello del produttore Paolo) e Ettore Sanzò - una storia dalle forte venature pessimiste, radicale nel suo fotografare con distaccata razionalità una società (tedesca come italiana, non è rilevante) ormai alla deriva, nella quale sia nei ceti sociali alti (rappresentati dalla donna borghese), sia in quelli bassi (i due stupratori) e, infine, in quelli intermedi (il voyeur), non esiste più alcuno spazio utile per l'etica, la solidarietà, l'educazione civica e la morale. I vari personaggi, tutti ottimamente resi sullo schermo da attori ben selezionati (spiccano la Miracle, Bucci, Méril e ovviamente Salerno nei ruoli principali, ma non da meno sono Fabrizi e la Berti), si distinguono tra vittime che hanno nome e cognome e criminali anonimi, dei quali mai ci vengono svelate le generalità. Una scelta voluta, quasi filosofica, a sottolineare l'universalità del Male: un'entità concretamente resa tale dall'azione degli esseri umani su altri esseri umani, al di là delle riflessioni speculative e teologiche, capace di ammorbare come un virulento virus ogni strato sociale, qualunque area geografica, senza limiti di tempo, senza alcun rispetto per vittime e senza pietà (talvolta) nemmeno per i carnefici. Lado è qui particolarmente a suo agio con l'argomento, che può consentirgli di allargare il campo di azione elevando l'exploitation verso un livello cinematografico superiore ma non rifiuta di spingersi, con certo compiacimento, in un pervadente sensazionalismo, insistendo sui dettagli erotici e morbosi amplificando così le emozioni più istintive e spontanee nello spettatore (eccitazione, paura, tristezza, rabbia, vendetta). Lo fa non in ottica emulativa né con finalità unicamente commerciali, rielabora un soggetto noto (quello già espresso senza intenzioni analitiche da Craven) inserendovi nella forma cinematografica una personale e distintiva cifra stilistica, la stessa che è possibile ritrovare anche nelle sue opere minori e più leggere (La cuginaL'ultima voltaLa disubbedienza). Da non sottovalutare la perfetta sintesi di elementi dai più vari aspetti artistici, opera del cast tecnico, che contribuiscono a rendere di notevole qualità il lungometraggio: fotografia di Gábor Pogány, scenografia e costumi di Franco Bottari, musiche di Ennio Morricone.

 

scena

L'ultimo treno della notte (1975): scena

 

La parola ad Aldo Lado [1]


"I personaggi interpretati da Macha Méril e da Enrico Maria Salerno simboleggiano le due facce di una classe sociale che detiene il potere. Il potere in generale - non mi riferisco a colori specifici - e che quindi ha potere di vita e, soprattutto, di morte. Il personaggio di Macha Méril (...) sfrutta gli emarginati e li spinge a commettere degli atti che lei non ha il coraggio di fare, pur desiderandolo. (...) E l'altro, Salerno, (...) riconosce in lei il suo simile e non l'ammazza, a differenza di quanto ha fatto con i due emarginati".

 

scena

L'ultimo treno della notte (1975): scena

 

Allusioni sotto traccia e connessione con reali avvenimenti futuri 

 

"A proposito del finale «aperto» del film: se al mondo ci fosse giustizia il personaggio della Méril non sarebbe affatto credibile, e fin dall'inizio. La Méril simbolo del potere (lo conferma lo stesso Lado), è una kapò, è Auschwitz. E «Se c'è Auschwitz», diceva Primo Levi, «non ci può essere Dio», cioè giustizia. Nel film, Salerno e la donna si guardano, mentre in sottofondo si sentono le sirene. Arriverà la polizia, certo. Che arresterà la donna, certo. Ad assolverla, tanto, penseranno i giudici. Non è un ipotetico finale da pessimismo cosmico, perché l'assoluzione c'è già stata. Nella realtà. Eva Mikula, la fidanzata di uno dei fratelli Savi (della «banda della Uno bianca», primi anni '90) si trovò nella stessa situazione della Méril. Addirittura, al processo, ci furono testimonianze contro di lei (l'«ambiguo» non andrebbe mai a testimoniare): era presente a più di una rapina. La Mikula disse - stessa scusa addotta dalla Méril nel film - che i Savi l'avevano costretta a partecipare, che insomma l'avevano plagiata. Fu assolta, e ora è libera come l'aria, di lei nessuno si ricorda più. Quella donna è un terribile mistero, esattamente come la donna con la veletta di L'ultimo treno della notte." 

(Davide Pulici) [2]

 

"In L'ultimo treno della notte di Lado un anello importante della catena deterministica che porta alla mattanza delle due ragazzine è lo stop forzato del convoglio che sta riportandole a casa alla frontiera austriaca a causa di un allarme bomba. Il personale ferroviario di lingua tedesca strepita come se impartisse osceni comandi, e lo spettatore si fa presago di un nuovo sacrificio che andrà a stuzzicare una ferita collettiva mai rimarginata: quella dell'Olocausto per antonomasia. I modi della signora dabbene Macha Méril («Non abbiate paura» dice alle ragazzine atterrite, «ci sono qua io!»), su un treno che per una notte somiglia a un campo di sterminio, potrebbero essere quelli di una spietata kapò di Birkenau: in fondo alla scarpata due corpi buttati via come oggetti ormai inutili, ed eccoci - anche se qui il travestimento nazifascista della contemporaneità è solo un'intuizione - al sesso come sopraffazione e consumazione meccanica, cioè all'imminente Salò. In mezzo, e oltre, la smisurata protervia del potere."

(Roberto Curti e Tommaso La Selva) [3]

 

scena

L'ultimo treno della notte (1975): scena

 

Curiosità 

 

Nel 1979 Ferdinando Baldi ne gira una sorta di remake, accentuandone gli aspetti erotici a discapito dell'aspetto drammaturgico (La ragazza del vagone letto).

 

Rientra nel famigerato catalogo dei video-nasty della BBFC.

 

Terzo film straniero di maggior incasso al botteghino di Hong Kong prima del 1975, seguente due film catastrofici: L'inferno di cristallo (1974) e Terremoto (1974) .

 

In una sequenza, uno dei due teppisti (Gianfranco De Grassi) suona con l'armonica il tema di C'era una volta il West (Sergio Leone, 1968).

 

Marina Berti

L'ultimo treno della notte (1975): Marina Berti

 

Critica 

 

"Pellicola sadica che si muove con nervosismo sul filo del rasoio e viaggia a diverse velocità come il treno su cui si intrecciano le storie e i destini dei vari personaggi. Le classi sociali si distinguono fra loro in base all'apparenza ma la sostanza di cui sono fatte è la medesima, un'unione letale di criminalità, lussuria e perversione che sfocia come un fiume in piena addosso alle due adolescenti. Un'atmosfera sinistra e inquietante si muove fra le varie carrozze del convoglio ferroviario, qualsiasi persona può indossare i panni dell'assassino e dileguarsi in mezzo agli altri passeggeri in tutta tranquillità. La maschera del perbenismo e della moralità, se tenuta addosso da un filo leggero, cade in terra e mostra il vero volto di coloro che si definiscono 'borghesi'. La vendetta è un modo per sovvertire l'ordine delle cose in una società che continua imperterrita a mischiare le carte della legalità."

(Claudio Mangolini e Flaminia Bolzan) [4]

 

"L'ultimo treno della notte è una fedele parafrasi del modello craveniano, con poche ma accorte variazioni nel plot e attenzione agli snodi narrativi: la debole intelaiatura del modello viene rimpiazzata da una sceneggiatura di rigorosa, ineluttabile circolarità, e la regia di Lado evita saggiamente le zeppe comiche dell'originale. Entrambi i film sono costruiti sulla giustapposizione di due blocchi narrativi paralleli (stupro e vendetta) culminanti in un doppio climax catartico (uccisione delle vittime; compimento della vendetta). Il lavoro più interessante è quello sui personaggi, identificati nei titoli di testa come semplici funzioni: «L'ambiguo, «il padre», e così via. Le ambizioni politico-sociologiche sono evidenti: Bucci e De Grassi non sono maniaci psicopatici, ma semplici sbandati (il secondo è eroinomane, come Junior Stillo nel film di Craven; ma la tossicodipendenza è accennata in maniera meno urlata e più sinistra), balordi senza arte né parte trascinati in un gioco più grande di loro dalla borghese-bene (Macha Méril), angelo della morte destinato a rimanere impunito: è l'invenzione più dura del film. L'unità di luogo rafforza la suspense, così come alcuni trucchetti leoniani: con la complicità di Ennio Morricone, De Grassi intona una sinistra melodia all'armonica, come Bronson in C'era una volta il West. Il sostrato politico è bene in vista, con numerosi riferimenti alla realtà italiana dell'epoca: in treno la Méril si imbarca in una discussione con un politico democristiano a proposito del divorzio e della crisi dei valori della Chiesa (ma poco prima l'abbiamo vista raccogliere foto pornografiche cadutele dalla borsetta), e più tardi il convoglio viene fatto fermare alla frontiera per timore di una bomba; il padre (Salerno) è un chirurgo umanitario dalle blande idee progressiste (dipinto con sarcasmo: «La società dovrebbe creare i presupposti della non violenza... ad esempio, io credo molto nello sport») che convivono in maniera stridente con le radicate convinzioni borghesi («La proprietà va difesa»), e che alla fine imbraccia il fucile come un bisturi, per estirpare il male alla radice, ma senza successo. (...) È nella rappresentazione del sesso e della violenza che l'epigono si differenzia maggiormente dal modello: la sequenza in cui una delle due ragazze è costretta a masturbare De Grassi viene dilatata fino a trasformarsi in una scena madre (ancora l'armonica, ancora Leone) in cui ogni inquadratura trasuda sgradevolezza - ed è solo l'ouverture. L'escalation di umiliazioni e torture che ne segue è minuziosamente orchestrato, fino al raccapricciante clou: la poverina viene sverginata e (accidentalmente) sventrata con un coltello a serramanico. Il serrato montaggio alternato tra gli eventi del treno e i due genitori in crisi che, finalmente riconciliati, ballano un valzer (con panoramica circolare sempre più vorticosa, che scandisce gli ultimi istanti di vita della vittima) è esemplare dell'estetica della violenza in auge nel cinema italiano anni '70: protratta, estenuante, compiaciuta. E, per quanto truce e stomachevole, a suo modo solleticante: tutto il contrario di quanto avviene in Craven. Ma anche altrove la catarsi finale ci purifica solo in apparenza: lo stupratore diventa il nostro capro espiatorio, è lui a pagare in vece nostra prima dei titoli di coda."

(Roberto Curti e Tommaso La Selva)  [5]

 

Flavio Bucci

L'ultimo treno della notte (1975): Flavio Bucci

 

Visto censura [6]

 

Depositato in Commissione censura il 3 marzo 1975, L'ultimo treno della notte subisce inevitabilmente un paio di bocciature perché "il suo contesto è grandemente offensivo del buon costume, compendiandosi nella rappresentazione di sequenze contrarie alla decenza e al pudore, comprendendo ripetuti, numerosi atti di violenza sessuale (violenza carnale, atti di libidine, eccetera) compiuti in danno delle due ragazze e culminanti nelle sequenze raccapriccianti della deflorazione di una di esse con un coltello, fino a provocarne la morte e il suicidio dell'altra, in una trasparenza di folle e bestiale degenerazione sessuale dei due giovani protagonisti e della loro compagna di viaggio, risolvendosi altresì in una esasperante e sconvolgente esaltazione della più brutale ed efferata violenza, che si riscontra anche nelle sequenze della vendetta del padre di una delle ragazze."

 

Dopo altre travagliate sessioni di revisione cinematografica, le parti giungono all'accordo di effettuare i seguenti tagli:

 

- 1) alleggerimento della sequenza in cui la signora per bene viene masturbata, eliminando i fotogrammi relativi alla mano che si inserisce fra le gambe della donna;


- 2) taglio della sequenza in cui il grasso introduce il coltello sotto la gonna della ragazza fino al primo piano del volto della ragazza che urla;


- 3) taglio del primo piano del coltello infitto tra le gambe della ragazza;


- 4) alleggerimento della scena dell'atto in cui si vede la fanciulla morta nello scompartimento fino al momento in cui la ragazza-amica si muove per fuggire.

 

La conclusione, riportata nel verbale del nulla osta n. 66163 del 27 marzo 1975, recita:

"(Si) esprime parere favorevole per la proiezione in pubblico con il divieto di visione per i minori degli anni 18. Tale divieto è motivato dal clima di efferata violenza del film, ritenuto inadatto per le esigenze di tutela dei minori. Il Presidente esprime l'avviso che al film debba essere negato il n.o. per i motivi indicati a proposito della prima edizione e che, nostante i tagli effettuati, permangono in tutta la loro evidenza."

 

Metri di pellicola accertati: 2550 (94' ca a 24 fps).

 

 

NOTE

 

[1] [2] "I travestimenti del potere" - Nocturno dossier n. 4 (ottobre 2002), a cura di Davide Pulici, pag. 31.

 

[3]  "Sex and Violence - Percorsi nel cinema estremo" (Lindau), pag. 264. 

 

[4] "Passione nera - I volti della violenza nel cinema italiano d'autore" (Edizioni Il Foglio), pag. 88.

 

[5] "Sex and Violence - Percorsi nel cinema estremo" (Lindau), pag. 230 - 231.

 

[6] Dal sito "Italia Taglia".

 

lultimo-treno-della-notte-1975-04-08

L'ultimo treno della notte: flano pubblicitario 

 

"Odio i treni che partono. Anche quelli che arrivano. Non sopporto le partenze; ma nemmeno gli arrivi e i ricongiungimenti, perché vuol dire comunque che un distacco c'è stato: mi prende un groppo in gola, forse più ancora se il treno arriva, che non se sta partendo."

(Paola Mastrocola)

 

Trailer

 

F.P. 25/07/2023 - Versione visionata in lingua italiana, dvd CineKult (88'40")

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati