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La terrazza

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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Souther78

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La recensione su La terrazza

di Souther78
4 stelle

Film pretenzioso che promette tanto e mantiene poco o nulla. I soliti luoghi comuni espositivi del regista riaffiorano qui in modo più irritante del solito, relegando lo spettatore in un circolo vizioso di pseudo-critica di una elite più che ristretta e in cui difficilmente si poteva rispecchiare perfino l'uomo medio dell'epoca. Figurarsi a posteri

 
Il cinema di Scola è idealistico e idealizzato, intellettualmente onesto e genuinamente di denuncia. Però, al tempo stesso, irrimediabilmente e noiosamente ripetitivo, pretenzioso e a mio avviso ampiamente sopravvalutato.
 
La terrazza, C'eravamo tanto amati, Splendor sembrano null'altro che rielaborazioni e ripetizioni. Perfino Il viaggio di Capitan Fracassa è terribilmente simile negli schemi e negli espedienti, oltrechè presente per citazioni ne La terrazza
 
La rappresentazione non lineare, con l'eterno inseguirsi e succedersi di ripetizioni, flashback e spostamenti di prospettiva, che alla fine non si comprende neppure dove collocare, sembra essere l'ostentazione registica del proprio marchio di fabbrica. Forse l'ambizione dell'autore di essere riconosciuto da qualsiasi spettatore, per il "tocco personale" aggiunto alla forma espositiva. Si tratta di vanagloria, che non arricchisce in alcun modo l'opera, finendo invece per renderne più ardua la fruizione. 
 
Stessi attori, stessi ruoli, stessi discorsi, stesso montaggio, stessi espedienti, stessa assenza di trama.
 
Lo spettatore finisce in balìa di un meccanismo imperfetto e ripetitivo, che pare a tratti quasi persecutorio anche considerando la lunghezza dell'opera. 
 
Pessima la scelta di ostentare la finzione scenica (come già ne Il viaggio di Capitan Fracassa), che amplifica la sensazione di assistere a qualcosa di forzato, smontando qualsiasi immedesimazione. Vediamo, quindi, un cielo romano notturno fintissimo, palesemente affidato a un telone di sfondo, perenne memento di artificiosità e artificialità.
 
Stefano Satta Flores, a sua volta intrappolato nello stesso personaggio di C'eravamo tanto amati, disturba e non aggiunge nulla alla scena, con le sue sempre più inutili invettive all'aria, al sole e al cielo.
 
Come spesso accade, il mondo fotografato dal regista è solo quello suo proprio, cioè cinema, cinema, cinema... eventualmente teatro, televisione e politica. 
 
La critica sociale, vero scopo dell'opera, c'è e si vede, ma in primo luogo è eminentemente relegata a un mondo che non tocca, riguarda o è a conoscenza della maggior parte delle persone: registi, produttori e autori cinematografici non sono esattamente categorie di massa, in cui lo spettatore medio possa identificarsi o cogliere talune lievi sfumature. Soprattutto, difetta l'empatia e la simpatia verso i personaggi, che sono ridotti a macchiette e stereotipi, inverosimili o forzati tanto quanto il cielo di Roma che si osserva dalla terrazza.
 
Si è detto che questo film sia invecchiato male, e probabilmente ciò è dovuto a tre ordini di considerazioni: 1) la maggior parte della critica è rivolta a persone/mestieri troppo di nicchia, 2) anzichè raccontare le situazioni di partenza E poi stigmatizzarle (o stigmatizzarne il cambiamento, come nel caso del cinema accusato di inseguire la leggerezza e la risata a ogni costo), l'autore si limita a irridere qualcosa che per lui sembra essere scontato e conosciuto al pubblico. Se così poteva essere all'epoca, evidentemente lo scorrere del tempo inficia tale presupposto, 3) la dimesione psicologica individuale non è neppure abbozzata.
 
Montaggio confuso e confusionario, scarsa originalità e latitanza della trama, personaggi stereotipati, dialoghi spesso pretenziosi o didascalici, sono i principali vizi che inficiano la visione. Il ricorso a mostri sacri della recitazione solleva solo di poco l'opera dal dimenticatoio più totale; infatti nessuno dei "mattatori" pare azzeccato nella parte. Forse Tognazzi più di altri, ma anche lui è sicuramente sottotono. Va perfino peggio a Gassman, relegato a politico fuori ruolo.
 
Non si stenta a comprendere per quale ragione possa essere stato acclamato dalla critica contemporanea, probabilmente con una certa carica di ipocrisia. Al netto di tutto, un film del quale possono salvarsi poche battute e trovate, ma che per la maggior parte risulta perfino fastidioso nell'ostentazione di tutto (ripetitività, luoghi comuni, autorialità, etc.).
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