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Il commissario Pepe

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il commissario Pepe

di hallorann
4 stelle

Nel 1969 lo sceneggiatore Ettore Scola aveva già firmato alcune regie, la più celebre e di maggiore incasso era stata RIUSCIRANNO I NOSTRI EROI… interpretata dagli assi Sordi e Manfredi, musicata da Trovajoli e montata da Kim Arcalli. Con IL COMMISSARIO PEPE dal romanzo omonimo di Ugo Facco De Lagarda trae, insieme a Ruggero Maccari, una commedia seria e amara sulla provincia e i suoi peccati. Antonio Pepe è un commissario di polizia di una cittadina veneta, uomo colto e onesto vive con un’anziana domestica e ha una relazione semiclandestina con Matilde. Dai suoi superiori viene incaricato di indagare sulle voci e sulle lettere “anonime” messe in circolo da un mutilato di guerra che gira per la città a bordo di una moto carrozzella sproloquiando e osservando tutto e tutti. Lo zelante Pepe comincia la sua inchiesta conducendo con discrezione e perseveranza interrogatori, verifiche e pedinamenti. Le dicerie e maldicenze del mutilato si rivelano fondate, il verminaio riguarda un illustre medico ospedaliero con un debole per i ragazzi, una nobildonna appassionata di festini e orge, una suora lesbica, la figlia prostituta del vice questore, una pensione a ore, un preside debosciato e via discorrendo. Persino l’apparentemente irreprensibile Matilde ha i suoi altarini, Pepe pronto a mettere in atto il suo dossier scottante viene intimato dai capi a tralasciare i nomi in vista e a perseguire i pesci piccoli. Il commissario propenso per il “tutti o nessuno” brucerà il fascicolo compromettente per la comunità locale che potrà continuare a coniugare casa-chiesa-lavoro e sesso più o meno lecito. A Pepe non rimarrà che il trasferimento.

Già Pietro Germi sull’argomento aveva ambientato sempre in Veneto SIGNORE E SIGNORI, Scola invece attraverso la figura di un poliziotto integerrimo analizza (caso strano) con scarsa ironia e controllato senso del pudore le ipocrisie della provincia italiana, il fuoco che cova sotto le ceneri del perbenismo e della morale cattolica. Su questo tema di lì a poco nascerà un vero e proprio genere e sottogenere che imperverserà per un decennio. Lo stile del regista di Trevico è formale, acerbo, freddo e poco coinvolgente rendendo il film irrimediabilmente datato e precocemente invecchiato. Le fantasie che ogni tanto illuminano il commissario ricordano quelle di Fefè in DIVORZIO ALL’ITALIANA, ma se nel film di Germi erano brillanti e funzionali al contesto, qui stridono e non convincono. Buone sulla carta ma visivamente brutte e oggigiorno irricevibili. Bravissimo Ugo Tognazzi in un ruolo che anticipa il magistrato di IN NOME DEL POPOLO ITALIANO, nel cast piuttosto disomogeneo si ricorda l’inquietante caratterizzazione di Giuseppe Maffioli nei panni del “grillo parlante” invalido e la bellissima Silvia Dionisio, una celestiale e discreta presenza del cinema italiano da AMICI MIEI fino allo spot Campari di Fellini.

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