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Il processo ai Chicago 7

Regia di Aaron Sorkin vedi scheda film

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La recensione su Il processo ai Chicago 7

di Serum
5 stelle

 

Ricostruzione dell'omonimo fatto storico con annessi flashback sugli eventi incriminati. La vicenda di per sé presenta la peculiarità di mostrare la contestazione da vari punti di vista (Hippie, Pantere Nere, pacifisti più attempati, studenti universitari, cittadini comuni), fornendo al film spunti a dir poco succulenti: utilizzare l'espediente del processo farsa per creare un confronto fra le varie parti, evidenziando luci ed ombre dei movimenti post '68 e dell'America in cui il sentimento pro bellico attanagliava le istituzioni, ottenendo così un ritratto sociale, politico e forse anche generazionale più unico che raro. Mi rendo conto che l'impresa fosse ardua e forse avrebbe richiesto più minutaggio, ma anche con queste attenuanti il risultato è tutt'altro che brillante: gli hippie sono quelli strafatti e clowneschi che si possono vedere ne I Simpson, con tutto il corollario di frasi fatte alla Peace and Love, costituendo così le spalle comiche; i due studenti hanno una caratterizzazione superficiale e confusa, oscillano tra l'essere bravi ragazzi di casa e rivoluzionari cubani senza un confine preciso, risultando sostanzialmente insipidi; la presenza di David Dellinger è ridotta ad un paio di scene tagliate con l'accetta (una in cui predica la non violenza ed un'altra in cui tira un pugno ad una guardia per poi dispiacersene); il personaggio di Bobby Seale, la cui importanza storica non viene minimamente messa in evidenza, ha un ruolo che sembra ridursi a mostrare l'imparzialità del sistema di giustizia verso gli afroamericani (se si considera che stiamo parlando di uno dei fondatori delle Pantere Nere è davvero un'occasione sprecata); gli altri direi che non sono pervenuti. A ciò si aggiunge un gruppo di personaggi di contorno altrettanto abbozzati, con il giudice cattivissimo ed isterico (praticamente un villain supereroistico), l'avvocato dell'accusa inarrestabile ma dal cuore tenero, funzionari viscidi e corrotti ed un Michael Keaton sornione, per poi chiudere il tutto con un finale retorico (e sottilmente ruffiano) alla "Oh Capitano! Mio Capitano!" che avrei evitato. È uno di quei film che, per la confezione pulita e per i temi edificanti trattati, è difficile definire brutto. Semplicemente, è uscito dalla stessa fabbrica di altri mille prodotti simili, assemblati con le stesse componenti che strizzano l'occhio al pubblico generalista, affastellando spunti interessanti destinati a rimanere in un limbo di superficialità: dopo decenni di questa tipologia di cinema credo sia lecito rimanerne annoiati.

 

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