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Il processo ai Chicago 7

Regia di Aaron Sorkin vedi scheda film

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La recensione su Il processo ai Chicago 7

di alan smithee
4 stelle

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Nel 1968 una manifestazione con intenti pacifici da organizzare in seno alla convention democratica programmata in Chicago, si trasforma in una sorta di guerra civile che oppone polizia e Guardia Nazionale ai manifestanti, i cui organizzatori vengono accusati di sovversione ed incitamento alla sommossa, dando vita ad un incalzante pe lungo processo che ancor oggi è ricordato come uno dei più determinati esempi di rivendicazione dei propri diritti civili e politici.

Da un progetto di Steven Spielberg, poi declinato nella scrittura al noto ed acclamato sceneggiatore Aaron Sorkin, che finirà pure per curarne la regia, debuttando in tal senso in una nuova mansione, Il processo ai Chicago 7 ricostruisce meticolosamente e con una certa verve di facciata le concitate sessioni del lungo processo che vide opporre allo Stato americano, rappresentato dall'integerrimo anziano giudice Julius Hoffman (un 83enne Frank Langella in gran forma), già completamente proiettato verso una personale e supponente sua soluzione del caso, alcuni eccentrici e brillanti oppositori come gli hippies Abbie Hoffman (sarcasticamente omonimo del suo acerrimo accusatore), ed interpretato da Sasha Baron Cohen) ed il collega interpretato da Jerry Rubin, ma pure soggetti meno eccentrici come il capo del movimento studentesco Tom Hayden, interpretato da Eddie Redmayne, o il saggio presidente del Comitato della mobilitazione per la Guerra in Vietnam, che qui ha il viso assai familiare del noto caratterista John Carrol Lynch.

Tra gli altri personaggi, non si può evitare di menzionare l'appassionata opera di difesa organizzata dall'avvocato degli imputati, qui ben reso col solito trasformismo straordinario dall'ottimo Mark Rylance che per la parte meriterebbe una menzione da non protagonista agli Oscar 2021, mentre al lato opposto della contesa troviamo, nei panni del giovane brillante ed ambizioso pubblico ministero dotato non di meno anche di una spiccata coscienza e senso critico, il valido Joseph Gordon-Levitt.

Nel variegato cast, pure una serie di attori di colore impegnati a impersonare i cardini del movimento delle Pantere Nere (tra questi Yahya Abdul-Mateen II già visto nella serie Watchmen.

Completa il folto cast anche Michael Keaton, nel breve ma incisivo e determinante ruolo da ex procuratore generale, forte con molte inconfessabili verità che è stato determinante fossero finalmente rese note per la soluzione della ferrea contesa legale. 

Il processo ai Chicago 7 si segue da un certo punto di vista con l'incalzante puntiglio narrativo che un più che collaudato Sorkin è abile ad inserire all'interno di una vicenda complessa e sfaccettata che lui stesso ignorava o aveva dimenticato nei dettagli più rilevanti, ma si infarcisce anche di quei luoghi comuni da legal story ormai dozzinale che ormai imperversano da anni nel genere processuale.

In tal modo il film concepito "a porte sin troppo chiuse", se non proprio sbarrate, quasi asfissianti, che sceglie scaltramente di raccontare la vicenda dall'antefatto e dalla conclusione, arrivando solo all'ultimo al cuore della contesa sul campo che generò gli scontri sanguinosi e violenti, quando il processo si gioca le sue carte più importanti e definitive, si riduce ad un concentrato di situazioni piuttosto scontate e di maniera, fiaccate da una sequela di situazioni tirate a puntino per garantire una spettacolarità un po' forzata.

Una situazione di disagio che il manierismo efficiente ed impeccabile del cast tecnicamente perfetto poco sopra menzionato in gran parte, finisce per rendere più evidente, rendendo al contrario invisibile o inefficace ogni appiglio di genuinità e di vera sorpresa, catalogandosi il film fin troppo addentro ai confini po' anonimi di un qualunque filmone a sfondo processuale, come lo sono ormai altre decine di titoli non proprio meritevoli di memoria eterna alla Testimone d'accusa di Billy Wilder.

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