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Sons of Denmark

Regia di Ulaa Salim vedi scheda film

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La recensione su Sons of Denmark

di OGM
7 stelle

L'uomo solo. Solo al potere. O solo alle prese con un segreto tormento. Uno dei due vince. O forse nessuno dei due.

Futuribile. Così si diceva un tempo. Proiezione nel domani delle nostre inquietudini presenti. Da intendere come tensioni, in generale, in uno spettro indeterminato che si estende dai desideri alle paure. Una volta erano le utopie/distopie tecnologiche o fantapolitiche di un mondo dominato da poteri centralizzati, onnipresenti, alieni, invincibili. Adesso l’incubo siamo noi stessi. Noi cittadini, elettori, professatori e praticanti della libertà di espressione. Siamo noi a realizzare terribili progetti contro l’umanità. In una civilissima Danimarca di qualche decennio a venire, l’intolleranza contro lo straniero diviene una forma di terrorismo che agisce nel buio, ma, soprattutto, urla nelle piazze e riempie le urne, per accedere legittimamente al governo del Paese. Martin Nordahl è l’incarnazione di un autoritarismo monotematico creato dal popolo, che chiede una cosa soltanto: liberare il Paese dalla “minaccia” dell’immigrazione, da quei corpi estranei che minano la sicurezza dei cittadini, portando la nazione alla rovina. Questa aberrazione è solo lo sfondo di una vicenda che si snoda lungo le viscere di un perverso gioco di ruoli, in cui i dilemmi, le falsità, le divisioni penetrano dolorosamente nelle esistenze di singole persone, trasformandole in lancinanti crocevia dell’assurdo. Il centro della scena è occupato da Ali/Malik, personaggio doppio per nascita e condizione, figlio di una coppia danese-irachena, e agente di polizia sotto copertura. Intorno a lui si condensano due opposte forme di odio: la xenofobia violenta  da un lato, e dall’altro il rancore, la sete di vendetta di chi  vuole reagire al disprezzo con l’assassinio. In mezzo c’è la legge, che ad entrambe le parti dà torto, che entrambe deve combattere, ma che in nessun caso risponde, in fin dei conti, alle intime ragioni del cuore. Alla logica del bianco e nero questo film contrappone un quadro con due facce ugualmente nere, talmente totalizzanti e radicate nell’anima da risultare impossibili da sconfiggere. Lo sguardo relativo, che relega il diverso da sé nell’inferno della coscienza, diventa un assoluto: una situazione fin troppo chiara, esente da dubbi e sfumature per chi vi è immerso, da uno dei due versanti,  ma intollerabile per chi, come Malik, si trova a metà strada, nel punto in cui le due scie di sangue si intersecano, per deflagrare in follia. Ad essere annientata, alla fine, è l’umanità come capacità di intendere e di volere, di seguire un piano, per quanto diabolico, un disegno dettato da una qualsivoglia forma di pensiero. I passi della progettazione, del procedimento secondo le regole finiscono per saltare, in una maniera imprevedibile. La tragedia non è, come nelle tradizionali visioni delle catastrofi a venire, l’assunzione del controllo da parte di entità impersonali o spersonalizzate, estranee alla società, bensì la perdita del controllo da parte della società stessa, dei suoi membri, sul loro stesso agire. Il disegno disciplinato scoppia, nel momento in cui la razionalità, troppo a lungo sottomessa a presunti principi (ideologici o morali) finisce per cedere agli impulsi interiori che chiamano alla guerra. I movimenti di massa, la forza della maggioranza – incanalate nei meccanismi pacifici della democrazia - non sono necessariamente i vincitori, tanto meno gli artefici del destino del popolo. Una rabbia solitaria basta a stravolgere la situazione. Le teorie assunte a sistema, a programma politico, per una volta, non sono i fattori dominanti, ma solo gli elementi scatenanti di un incendio appiccato, dal basso, da una scintilla che proviene dalla carne. L’opera di Ulaa Salim ne segue da vicino il divampare, la corsa della fiammella lungo la miccia. Il suo movimento, serpeggiante e frastagliato, è descritto in soggettiva dal punto di vista del protagonista, ma  appare sensibilmente ravvivato, strada facendo, dalle emozioni dei personaggi di contorno, tutti attivamente impegnati nella costruzione di uno scenario lacerante, in cui tutto sanguina, tutto è fragile, e tutto facilmente si distrugge.

 

scena

Sons of Denmark (2019): scena

 

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Sons of Denmark (2019): scena

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