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Il villino incantato

Regia di John Cromwell vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il villino incantato

di luisasalvi
4 stelle

Non è il villino bensì l’amore a compiere miracoli, in particolare quello di rendere bello l’amato anche se è oggettivamente brutto. La banalità della tesi è illustrata in una storia più scema che fantastica, insaporita da “ideali” degradati da quelli, già scadenti, dei film americani dell’epoca. La storia è evocata da un pianista cieco durante la prima di una sua composizione ispirata proprio a questa storia. Il cottage ha sempre solo ospitato coppie innamorate in luna di miele, che hanno inciso i loro nomi sul vetro di una finestra (si è innamorati sempre e solo in luna di miele; ma sempre poco educati, per incidere sul vetro). Nella versione italiana si parla di “viaggio di nozze”, ma non c’è viaggio: stanno fermi lì, magari anche per mesi e mesi, evidentemente possono permetterselo, condizione forse necessaria per essere innamorati e felici. Finché l’ultima proprietaria, innamorata a sua volta, perde il marito aviatore morto nelle prima guerra, si chiude, diventa scontrosa e non affitta più camere. Fino alla seconda guerra, quando inizia il film con la sua decisione immotivata di affittare a una coppia e di assumere come cameriera una ragazza bruttina ma gentile e sempre sorridente. La coppia viene a fare un sopralluogo prima del matrimonio, cerca di firmare sul vetro ma non riesce, perché non sono ancora sposati. Eppure si amano alla follia anche loro... Ma lui, pilota militare, viene mandato in guerra, ha un incidente, torna sfigurato e si rifugia nel villino dove rifiuta di vedere chiunque, e in particolare la madre assillante e la fidanzata innamoratissima. Poi, di fronte alla tristezza della solitudine, propone alla cameriera bruttina di sposarsi, lei accetta per lo stesso motivo, per evitare la solitudine. Appena sposati si accorgono di amarsi e immediatamente accade il miracolo, da loro imputato al cottage: sono diventati entrambi bellissimi. Ma non ci spiegano perché non vogliono farsi vedere da nessuno tranne dal cieco... che, appunto, non li vede. Finché li vede la madre di lui che piangendo li compatisce apertamente per la loro bruttezza, aprendo una voragine nelle loro illusioni di essere diventati belli oggettivamente e non solo l’uno per l’altro. Sarà il cieco che (dopo aver dato nel film altre lezioni di morale e di filosofia spicciola che risparmio) spiega loro che non è il villino bensì l’amore a renderli belli, e che perciò possono ridiventare belli... Naturalmente ci riescono. Naturalmente la bellezza è essenziale per vivere felici, a nessuno passi per la mente che ciò che conta è la bellezza interiore, e che magari anche questa dipende da chi guarda, e che questa sì può essere favorita dall’amore di chi guarda. Né che la prima fidanzata era a sua volta innamorata. Intanto l’arcigna proprietaria si rivela segretamente amorevole.
Fotografia decorosamente convenzionale come in qualunque “buon” film dell’epoca. Recitazione piatta, forse anche irrigidita dal trucco che deve far apparire brutta lei e sfregiato lui. Fra i gioielli del dialogo, lui riconosce che la donna deve sempre essere bella ma che l’uomo deve essere... intelligente, diranno subito i lettori abituati ai film americani dell’epoca; invece no, non c’è mai limite al peggio, lei lo completa amorevolmente: deve essere seducente. E vissero felici e contenti; forse fino alla fine della luna di miele.

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