Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Nella prima inquadratura, leggiamo che il film è dedicato a Sharon Tate. Prima di partire alla volta di Los Angeles per l’imminente parto che tragicamente non avverrà mai, la moglie di Roman Polanski lasciò un appunto nel quale suggeriva al marito l’idea di trarre un film dal romanzo di Thomas Hardy. Nella coproduzione anglo-francese che ne consegue, il regista dispone di carte eccellenti per realizzare una grande opera. Ottimi attori, meticolosa e affascinante ricostruzione degli ambienti inglesi della seconda metà del XIX secolo, fotografia e costumi di alta classe, ma il gran colpo non va a segno. Il film è secondo me troppo lungo, anche se, onestamente, non saprei dove sarebbe stato possibile “tagliare”. Forse è proprio la sceneggiatura ad essere un po’ prolissa nel volersi concentrare sui sentimenti e le psicologie dei personaggi, mentre a coinvolgere maggiormente sono le scene di vita quotidiana dell’antica Europa agraria, le visioni campestri, l’attenta messa in scena del durissimo lavoro dei contadini. Non credo che questo fosse lo scopo del film, ma è l’elemento che mi strappa la quarta stella nel valutarlo. Giudizio corroborato dalla scelta di Nastassja Kinski come protagonista. Un ruolo difficile nel rendere la segreta personalità di una donna perdutamente innamorata e caparbia fino all’auto-fustigazione, ma anche un ruolo fisicamente faticoso. Alle prese con la mungitura delle vacche, la trebbiatura o la caccia al pollo nel cortile, se la cava egregiamente. Brilla in ogni tipo di costume, dalle mises signorili all’abbigliamento contadino. Senza dubbio meritati gli oscar alla fotografia e, appunto, ai costumi.
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