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Windstorm 4 - Il vento sta cambiando

Regia di Theresa von Eltz vedi scheda film

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La recensione su Windstorm 4 - Il vento sta cambiando

di giurista81
7 stelle

Quarto capitolo della saga Windstorm, cui farà seguito Windstorm – Il Grande Uragano. Cambiano regia e protagonista, ma non se ne rimpiange l'assenza. Theresa von Eltz sostituisce la “titolare” Katja von Garnier dietro la macchina da presa, mentre la rossa Hanna Binke (Mika) vede comprimersi il proprio ruolo fino a restare ai margini della vicenda. La soluzione permette così di dare ampio spazio alla new entry Luna Paiano (chiare origini italiane e più convincente della collega in un ruolo emotivamente instabile) e, al tempo stesso, di rivedere la storia sempre affidata alla penna di Lea Schmidbauer. Ne viene fuori un prodotto molto interessante, soprattutto alla luce del fatto di essere un sequel. Si passa dai toni fiabeschi del terzo capitolo ad altri di natura simbolica e addirittura esoterica. La Schmidbauer insiste nel lavorare sul rapporto simbiotico tra uomo e animale, fino a dar vita a una vera e propria sovrapposizione tendente all'unione. Mika, caduta in un inspiegabile coma che la rende simile alla “bella addormentata nel bosco”, vive per tutto il film in stretto legame mentale con Windstorm dal letto dell'ospedale, addirittura seguendone le mosse come avviene nel rapporto tra Dracula e Mina Harker nel celebre romanzo di Bram Stoker o, per l'idea che ne sta alla base, nel film Aenigma di Lucio Fulci.

Migliorano le caratterizzazioni dei personaggi. La Schmidbauer sembra addirittura guardare alla narrativa del terrore con un occhio più interessato al fantastico che, ovviamente, alla portata terrifica, che qua è ben lontana dal palesarsi (pur essendo sottotraccia). Così abbiamo i buoni e i cattivi (abili nell'arte dell'inganno e della manipolazione), con questi ultimi che, ancora una volta, vorranno mettere le mani sulla struttura Kaltenback (la signora Maria - sempre interpretata dall'ex cantante Cornelia Froboess - questa volta è preda della pressione alta e degli attacchi di cuore) e sul possente Windstorm. Il cavallo, di ritorno da un periodo allo stato brado in Spagna (dove lo avevamo lasciato al termine del terzo capitolo), è reduce da un infortunio che lo ha messo fuori gioco. Nonostante il carente stato di forma non ha però perso i suoi ammiratori, in particolare un bizzarrissimo allenatore, chiamato “il mago” (chissà se in omaggio al soprannome del mitico Federico Tesio, allevatore rivale del regista Luchino Visconti, e celebre per i suoi duri metodi di lavoro che hanno portato il Nearco a divenire il capo razza per eccellenza nel campo dell'allevamento del purosangue inglese). Quest'ultimo, inviso dalla signora Kaltenback, riesce ad essere assunto dal maneggio per mano di una nuova collaboratrice, una “gatta morta” che si aggrazia il personale del posto fingendosi interessata sentimentalmente a stallieri e personaggi di rilievo (così da ridurli al suo volere con promozioni calibrate allo scopo). La giovane, laureatasi a pieni voti, fa in modo di provocare un infarto alla padrona della struttura, estorcendole con l'inganno la direzione del centro. Ecco che “il mago”, caratterizzato alla maniera di Randall Flagg, il maligno del romanzo The Stand (da noi L'Ombra dello Scorpione) di Stephen King, entra in azione per accaparrarsi Windstorm e recuperarlo dall'infortunio probabilmente per sfruttarne le doti nelle competizioni agonistiche. Sostenitore di procedure correttive alquanto discusse e forgiate sulla paura (“la paura è molto potente”), si muove sulla scena alla maniera di un cowboy, lasciandosi alle spalle fuoco e fiamme (alla Randall Flagg). Cappello nero, guanti neri, stivali che lasciano risuonare tintinni a ogni passo, a evocazione degli speroni tipici del far west. La presentazione, pur se bizzarra, non è affatto casuale. La Schmidbauer, in più di un punto del film, occhieggia al diavolo e lo fa in modo esplicito. Oltre alla caratterizzazione del soggetto, ricalcato su Flagg (con tanto di battuta finale “Io e te ci rivedremo”), ci sono i dialoghi a suggerire questa chiave di lettura e una falsa nuova direttrice che conquista posizioni e prestigioso giocando sulle debolezze del prossimo. La Kaltenback sostiene di sentire “un calore da inferno”, un cliente del maneggio, proprietario di un cavallo azzoppato in ippodromo (caduta nell'impianto in siepi di Baden-Baden), vede risorgere per mano del mago il suo pupillo (“ora corre come il diavolo”) mentre la nuova arrivata Ari viene definita, per i suoi problemi comportamentali, “la figlia di Satana” con tanto di animali che fuggono e si imbizzarriscono non appena la vedono al loro cospetto, proprio come gli animali dello zoo in presenza del figlio di Satana protagonista de Il Presagio (1976) di Richard Donner.

Tilo Prucker, deceduto quest'anno (il 2 luglio del 2020), è confermato nel ruolo del saggio, un vero e proprio grande maestro che inizia soggetti problematici nell'arte equina. Ha un ruolo di caratura che rimanda al Grande Oriente, tanto che disegna la raffigurazione che sintetizza il concetto dello yin-yang (a dimostrazione degli opposti che creano quella completezza che in ambienti esoterici viene connessa all'essere androgino di matrice alchimica). La Schmidbauer lo propone in modo da ricordare il Maestro Miyagi di Karate Kid. Di fatti addestra la difficoltosa Ariel con prove propedeutiche all'apparenza avulse dal mondo ippico, ricevendone inizialmente proteste e segnali di insoddisfazione. In particolare le fa contare dei chiodi contenuti in un contenitore e riversati ogni volta nell'erba al fine di farsi dire quanti essi siano. Ovviamente non gli interessa il risultato, che peraltro ignora, ma vuole trasmettere alla sua allieva (alquanto frettolosa e desiderosa di giungere subito al punto) la perseveranza e la volontà nella ripetizione (bella la scena sotto il nubifragio che non distoglie Ariel nell'atto di contare) utili a non desistere al manifestarsi delle avversità e per farle acquisire la pazienza e l'autocontrollo indispensabili per distinguersi dalla massa (“lo avevo visto subito che avevi del talento!”). Sono passaggi ben narrati che fanno coppia con la filosofia rappresentata dal personaggio di Prucker. Il “vecchio”, detto in simpatia, estrae da un bauletto una serie di disegni, da lui stesso realizzati durante un viaggio in oriente (lo stesso Federico Tesio divenne abile allevatore e allenatore dopo un viaggio in estremo oriente), aventi la valenza di conferire una natura esoterica al film. Si parla, per dirla alla Gurdijeff, dell'uomo/donna addormentato che deve sapersi svegliare (Mika simboleggia questa situazione, ma pare farlo quale prova iniziatica per evolvere a ulteriore livello) per acquisire il rango del guerriero. Non a caso Ariel diviene abile nell'uso dell'arco e il suo procedere, con look indiano (con tanto di disegni sul viso), a pelo sul cavallo (che non si fa montare da altri se non da Mika, che ha chiesto in sonno alla giovane di cavalcarlo anche nel suo interesse) è inarrestabile. Le sue frecce centrano i bersagli e arrestano il male che, proprio come nei romanzi di Stephen King, viene sconfitto da rappresentanti popolari e non da cariche investite dall'alto con conferimenti di ruoli dirigenziali o religiosi. Il suo personaggio incarna il perfetto contrasto indiani-cowboy dove i primi sono i rispettosi della natura e degli animali, mentre i secondi cercando lo sfruttamento e il vantaggio economico. Il “mago” infatti cerca di strappare l'oggetto mistico attorno al quale si muove l'intera serie per averne vantaggi materiali (i buoni ricercano gli spirituali). Ecco che, per tale via, si giunge alla fusione tra uomo e cavallo in quella figura leggendaria costituita dal centauro raffigurato dal nono segno dello zodiaco ovvero il Sagittario. L'inquadratura finale sulla Paiano che si volta, arco in mano e in sella a Windstorm, in direzione della macchina da presa con un sorrisetto che sembra fare il verso a quello di Damien nel sopracitato film di Donner è di una palese presa simbolica e segna il raggiungimento della fusione, uomo-animale, che da vita a una creatura degna di ergersi tra le più alte divinità di un pantheon pagano.

Dunque un bel film, forse superiore ai suoi predecessori, che rinnova, pur mantenendo lo schema dei prequel, i contenuti, spostando la storia che si legge tra le righe su un piano trascendente. Non mancano tuttavia i riferimenti sociali. Dopo la condanna all'imprenditoria e all'atteggiamento irrispettoso nei confronti dell'ambiente, arriva quella (in parte già presente nel primo capitolo) rivolta all'educazione. Psicologi e assistenti sociali vengono condannati dalla realtà dei fatti, a dimostrazione che i metodi alternativi garantiscono risultati ben maggiori a quelli impositivi e coercitivi. Evidente, a conclusione dell'intera serie, la sviolinata a favore di quell'attività di recupero che prende il nome di ippoterapia.

Solido, su tutti i versanti, sotto il profilo tecnico, con un piccolo omaggio anche a Rocky di cui viene citata la main theme firmata Conti.

 

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