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Love Trilogy: Stripped

Regia di Yaron Shani vedi scheda film

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La recensione su Love Trilogy: Stripped

di obyone
5 stelle

 

Bar Gottfried, Lalil Sivan

Love Trilogy: Stripped (2018): Bar Gottfried, Lalil Sivan

 

Venezia 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.

Stripped di Yaron Shani è il primo film di una trilogia di titoli in fase di realizzazione dedicata all’amore. Presentato in concorso nella sezione Orizzonti alla recente Mostra del Cinema ha per protagonisti Alice e Ziv. Alice è un’artista che alterna alla scrittura il supporto ad un gruppo di artiste in erba. Durante un laboratorio di arti grafiche, Alice, che già si sente confusa senza capirne il motivo, nonostante brandelli di memoria che riaffiorano in continuazione, scopre durante la conversazione che uno stupratore seriale è a piede libero a Tel Aviv.

La notizia sconvolge, a dir poco, la donna che si chiude in casa meditando sugli strani indizi disseminati per casa alcuni giorni prima (i cani rinchiusi nel bagno, la porta trovata aperta dal fidanzato, lo stato di torpore in cui era sprofondata) che uniti a quanto l’inconscio le suggerisce la portano ad una lacerante conclusione.

Il dolore è devastante. Il telefono squilla per giorni, la segreteria si riempie di messaggi allarmati, i cani, abbandonati a loro stessi, ricoprono l’appartamento di escrementi, il fidanzato rimane fuori senza spiegazioni mentre Alice alterna momenti di apatia ad altri conditi da attacchi di panico che nessun lucchetto e nessuna tapparella ribassata riescono a sedare. Alla fine la giovane scrittrice riesce a reagire e riaperta la porta all’amica ed agente, riesce piano piano a rimettersi in piedi.

Ziv, invece, è un giovane studente di talento. Suona molto bene la chitarra classica e ciò gli dà speranza di essere accettato nella banda dell’esercito dove sarà chiamato a prestare servizio obbligatorio una volta finita la scuola. Mancare l’obiettivo significa dover rinunciare alla musica per tutta la durata del servizio militare. L’attesa di un responso, le avance imbarazzanti di una compagna di classe e la grave malattia di un amico fanno di Ziv un adolescente sotto pressione.

Un giorno, però, il ragazzo viene presentato a Alice, sua vicina di casa, interessata a girare un documentario sul mondo giovanile. Il musicista sembra adatto al progetto, per questo motivo i due iniziano a vedersi con regolarità e ad instaurare un rapporto appagante nonostante la differenza d’età.

Il film poggia le proprie basi sulle spalle dei due personaggi ma se le emozioni scaturiscono copiose nel finale il merito è del montaggio curato dallo stesso regista. Unico elemento dell’opera a conferire quel brio e quel brivido che invece manca per tutta la durata del racconto e che la fabula non avrebbe probabilmente conferito senza un intreccio studiato ad hoc. A mio avviso pesa il tono della regia che oscilla tra la fiction ed il documentario di stampo sociologico specie nella parte dedicata al comportamento dei giovani studenti nell’ambito di una rappresentazione collettiva della libido. Molto più interessante la rappresentazione del disagio emotivo di Alice e l’analisi del cammino a ritroso verso la consapevolezza del dolore come forma di crescita.

Ad affossare il mio giudizio verso l’opera di Shani, oltre allo stile impersonale, razionale e freddo vi è stata la censura operata sul film. Scelta obbligata dalle autorità israeliane che hanno imposto il bollino su tutte le parti intime?

O scelta voluta dallo stesso Shani che deliberatamente ha voluto appannare i sessi anche nelle scene più caste per conferire un'aurea da trattato (medico/scientifico) al suo lavoro riducendo il set in un laboratorio delle emozioni e dei comportamenti? Benché a fine visione abbia pensato a qualsiasi possibilità, in assenza di informazioni, è evidente che la prima ipotesi è inverosimile e che nemmeno della Biennale è la colpa di tanta pudicizia altrimenti il curatore della mostra, per amore del contegno, avrebbe dovuto applicare il bollino blu anche sulla banana del samurai guerrigliero di “Roma”. 

Forse qualche inquadratura meno esplicita avrebbe garantito (le stesse) emozioni allo spettatore senza dover ricorrere alla foglia di fico. E non per questo il film avrebbe perso la sua connotazione psicologica e sociologica. Insomma o fai vedere o fai a meno. O sei cazzuto come Larry Clark e mostri tutto senza paura del giudizio oppure lasci perdere. Questa via di mezzo è irritante e francamente incomprensibile. Occasione in buona parte sprecata.

 

Bar Gottfried

Love Trilogy: Stripped (2018): Bar Gottfried

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