Regia di Issa López vedi scheda film
L'ennesimo film (pseudo) "impegnato" imposto al pubblico da una critica di peso, che grida - impropriamente - al capolavoro. Invece siamo di fronte ad una sopravvalutatissima "deltorata" (neologismo indicante finto horror alla Del Toro) incomprensibile, priva di ritmo e molto, molto, mal girata.
Messico. La piccola Estrella (Paola Lara), dopo avere perso la madre, cerca di inserirsi in un gruppo di bambini abbandonati. Per essere accettata deve compiere un delitto: vittima un criminale del narcotraffico, al quale i ragazzi hanno rubato un cellulare e una pistola. E proprio il cellulare mette in pericolo di vita i bambini, essendo compromettente per il criminale a cui è stato sottratto. Sul dispositivo è infatti ripreso un delitto compiuto dal malvagio possessore.
No, grazie. Di Del Toro ce n'è uno solo e per quanto noioso (per chi scrive) basta e avanza. Issa López realizza una sceneggiatura inestricabile, che mette in ballo orsacchiotti semoventi, ritornanti dall'Aldilà e desideri che diventano realtà (tre per l'occasione). In una storia (horror? Ma nemmeno di striscio!) che non ha capo né coda ci mette dentro tanto tantissimo sentimentalismo (chi non si commuove di fronte a un bambino che ha perso la madre o, peggio ancora, freddato a sangue freddo?) e la solita politica di comodo (o impegno sociale se preferite, che resta confinato in scadenti immagini). Dialoghi in linea al pessimo girato (con macchina a mano tremolante), che spiccano in un paio di occasioni per il surreale contesto, ossia l'avere messo in bocca a bambini di otto/dieci anni frasi filosofiche sfioranti il sofismo ("Ci dimentichiamo chi siamo quando le cose, da fuori, vengono a prenderci", sentenzia ad un certo punto Estrella). No, sinceramente: se un dialogo del genere lo scrive Bruno Mattei si grida all'Ed Wood, ma se invece lo fa la López si sfiora l'idolatria.
Ormai l'esperienza insegna: più sono buone le intenzioni (e nessuno può disconoscere l'esistenza della drammatica violenza infantile, prolificante purtroppo - anche - in Messico) e peggiore è il risultato. Tigers are not afraid rispecchia in pieno l'assioma, essendo un brutto film girato male (con macchina a mano tremolante dall'inizio alla fine) e fotografato di conseguenza. Risalta per l'ottima performance del cast infantile ma tolta questa particolarità, resta un lungometraggio soporifero e tremendamente patetico. Se si vuole farsi promotori di una giusta causa ci sono metodi migliori che girare un film mascherato da horror. Perché siamo sempre lì, il genere attira e quando - in una storia in realtà "drammatica" e incomprensibile - il fior fior dei critici abbocca gridando al capolavoro, magari impressionati da qualcosa come 21 premi e altrettante nominations, state pur certi che chi vuole porsi al di sopra del gusto popolare griderà all'unisono al capolavoro. Proprio perché del film non ci ha capito niente. Ecco, l'ennessimo capolavoro "imposto" al pubblico si intitola Tigers are not afraid. Lasciamolo in gloria a chi gradisce farsi martoriare da film cervellotici, brutti e tediosi. Fingendo ipocritamente di averli graditi.
"Non sei mai stato bambino se non sei saltato a piedi pari dentro una pozzanghera, svegliando le fate che dormivano e facendole saltare in mille gocce di luce fino al cielo." (Fabrizio Caramagna)
Trailer
F.P. 15/11/2020 - Versione visionata in lingua italiana (durata: 83'51")
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