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Boar

Regia di Chris Sun vedi scheda film

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La recensione su Boar

di undying
7 stelle

Razorback è tornato! Un cinghiale di enormi dimensioni dispensa terrore nell'outback australiano. Tra i primi ad accorgersene il mitico John Jarratt, qui sul lato opposto della barricata rispetto al Mick Taylor di Wolf Creek. Adrenalico, irriverente, sardonico, spaventoso. Assolutamente da vedere.

 

locandina

Boar (2018): locandina

 

In un piccolo paese dell'outback australiano la vita scorre tranquilla. L'anziano Kent (John Jarratt) si diletta in compagnia di un amico in campeggi notturni mentre la figlia Sasha (Melissa Tkautz) gestisce il locale punto di ritrovo distribuendo superalcolici, unico motivo di svago per i pochi residenti. Bruce (Bill Mosely) con famiglia (di seconde nozze) al seguito, arriva dopo un lungo viaggio. Sarà ospite per qualche giorno del cognato Bernie (Nathan Jones). Da tempo i locali discutono sul fatto che alcuni animali da allevamento sono stati aggrediti da una feroce fiera che ha danneggiato parecchie recinzioni. Una notte, mentre Kent si trova a campeggiare sotto il cielo stellato in compagnia di un vecchio amico, nota in lontananza due tende. Nell'avvicinarsi si imbatte in due corpi, massacrati. Impiega poco tempo a capire da chi: un cinghiale di dimensioni abnormi si manifesta sotto il chiarore della luce lunare.

 

scena

Boar (2018): scena

 

In principio fu Razorback - Oltre l'urlo del demonio. Correva l'anno 1984 ma il territorio era sempre quello dell'outback australiano. Russell Mulcahy metteva in scena un interessante film (poi divenuto di culto) sugli animali assassini. Ovviamente protagonista era un enorme cinghiale. Sono passati ventiquattro anni, ed eccolo di nuovo lì. Piace pensarlo, che questo Boar riprenda da dove Razorback era concluso.

 

scena

Boar (2018): scena

 

Precedenti a parte, l'abile Chris Sun ha le idee chiare: un film thriller, drammatico, teso ma con piacevoli risvolti ironici, lasciati trapelare dalla eccezionale interpretazione di John Jarratt. Sì proprio lui: il Mick Taylor di Wolf Creek in un ruolo efficacissimo proprio perché di segno opposto rispetto a quello del più celebre assassino nei film di Greg McLean. Qui lo troviamo negli inusuali panni di un anziano ubriacone dal cuore d'oro, in grado di partecipare con l'anima (e commovente oltre ogni dire) nel disperato tentativo di salvare giovani vite. Già questo è motivo di grande interesse attorno al film, ma non l'unico. Chris Sun procede a rilento, introduce i personaggi per renderli più credibili e -inevitabilmente- simpatici. Poi sferra il primo colpo basso: effetti gore ultrarealistici, con vittime sballottate tra le enormi mandibole del cinghiale assassino e corpi devastati, lasciati al suolo in un lago di sangue, tra pezzi di carne e viscere fumanti, esposti nel loro tragico aspetto con dovizia di macabri dettagli. Quello che sembra essere l'eroe (Kent/John Jarratt) viene messo fuori scena a neanche metà tempo e il film ricomincia, prendendo un'altra direzione. Questa geniale trovata permette di attirare maggiormente l'attenzione dello spettatore, già sufficientemente preso dalla scenografia mozzafiato. Il terzo asso nella manica il regista se lo gioca sugli effetti speciali, semplicemente favolosi, caratterizzati da pochissimi ritocchi in CGI ed un creatura animatronica costruita in dimensione reale come  ai bei vecchi tempi del miglior Carlo Rambaldi  (King Kong docet). Per  tutto l'insieme di questi elementi -e in aggiunta al parsimonioso dispendio di soggettive notturne della creatura- questo Boar si pone tra i migliori titoli degli ultimi anni sul filone degli animali assassini. La creatura del film è sproporzionatamente grande? Lo notano anche i protagonisti e proprio il lasciare nel vago ogni risposta -sul perché e per come- contribuisce (finale compreso) a donare maggior fascino all'opera. Auspicabile una distribuzione nelle sale italiane. Più che dovuta. 

 

scena

Boar (2018): scena

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