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Capitan Conan

Regia di Bertrand Tavernier vedi scheda film

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La recensione su Capitan Conan

di degoffro
8 stelle

Rec. breve

Dopo "La vita e niente altro" Bertrand Tavernier torna a parlare della prima guerra mondiale. Non a caso, la sceneggiatura di questo film, come l'opera con protagonista Philippe Noiret, è firmata a quattro mani dal regista con Jean Cosmos. Sarebbe però riduttivo etichettare "Capitan Conan" solo come un film di guerra, sebbene Tavernier nelle prime sequenze ci catapulti in pieno conflitto, sul fronte bulgaro, evidenziando le cruente, efferate, atroci azioni militari all'arma bianca del battaglione guidato da Capitan Conan. Se "La vita e niente altro" era un caloroso monito a non dimenticare gli orrori della guerra, "Capitan Conan" è un straziante grido di dolore sui mali nefasti che quegli orrori bellici lasciano in chi li ha vissuti. Impreziosito dalle magnifiche prove di Philippe Torreton e Samuel Le Bihan, degni del monumentale Philippe Noiret del film del 1989 ed alle prese con due personaggi definiti, come sempre in Tavernier, in maniera superba ed assai convincente, il film diventa un fulgido ed emozionante esempio di cinema antiretorico, scritto benissimo, diretto in stato di grazia e capace di ricordarci con sofferta e commovente franchezza come chi ha fatto della guerra la sua unica ragione di vita, proprio nel ritorno alla normalità vive il suo incubo peggiore. Dice infatti Conan a Norbert: "Bisogna adattarsi è questo il problema: comanda a un cane di adattarsi all'insalata e vedrai." Già: è come chiedere a un lupo di diventare un cane lupo. Dirompente.

Voto: 8


Dopo "La vita e niente altro" Bertrand Tavernier torna a parlare della prima guerra mondiale. Non a caso, la sceneggiatura di questo film, come l'opera con protagonista Philippe Noiret, è firmata a quattro mani dal regista con Jean Cosmos. Sarebbe però riduttivo etichettare "Capitan Conan" solo come un film di guerra, sebbene Tavernier nelle prime sequenze ci catapulti in pieno conflitto, sul fronte bulgaro, evidenziando le cruente, efferate, atroci azioni militari all'arma bianca del battaglione guidato da Capitan Conan, fondamentali però per la resa dell'esercito bulgaro e la conseguente vittoria francese. Il regista mette a confronto la brutalità e la violenza quasi sadica di Conan con la razionalità e la diplomazia dell'ufficiale Norbert, "sempre intento a voler capire", come di lui dice lo stesso Conan. I due, nonostante le profonde diversità caratteriali e comportamentali, sono amici e si stimano reciprocamente. Quando Norbert viene chiamato a giudicare alcuni infami crimini commessi dagli uomini di Conan si trova in una situazione di estremo disagio ed imbarazzo, tanto da affermare al suo superiore: "Mi chiede una cosa angosciante." Le prove contro quei soldati sono infatti schiaccianti ma Conan continua a difenderli con estrema convinzione e sicurezza. In tribunale i dubbi di Norbert, pubblica accusa, emergono in tutta la loro evidenza nella requisitoria finale: "Come posso far condannare uomini che sono stati ammirevoli compagni d'armi? Come posso far assolvere uomini che sono stati spietati assassini di donne? Non ho la risposta. Condannate questi eroi se ne avete il coraggio, ma per me è mostruoso!" Ritrovato Conan sul fronte russo, Norbert ne constata la furia brutale ed incontrollata in battaglia (si scaglia sui nemici con una crudeltà inaudita ed incita i suoi uomini a fare altrettanto). Alla fine della guerra Norbert va a trovare l'amico Conan che è ormai devastato dalla cirrosi, ombra di se stesso e ben consapevole che, senza l'odore dei campi di battaglia, la sua vita non ha più alcun senso. Ed è proprio questa devastante condizione umana di Conan e dei suoi uomini, questo loro smarrimento post-bellico l'elemento più impressionante e sconvolgente del film: vivono di guerra e di battaglie. La mancanza del confronto diretto, del corpo a corpo con il nemico li fa sentire morti, annichiliti, spiazzati, veri e proprio fantasmi. A Norbert, nel finale, il capitano dice malinconico e rassegnato: "Almeno mi hai conosciuto da vivo!" E' una situazione inaccettabile per uno che si è sempre definito orgogliosamente un guerriero non un soldato. La differenza? "Un cane lupo non è un lupo!"  Conan sostiene ancora: "Mio padre dice: nella vita uno coltiva le doti che Dio gli ha dato. Io so picchiare forte: per questo vinco sempre." Ogni azione sul campo con lui, a suo dire "non è una battaglia, è una carneficina!" Emblematico il lungo sfogo di Conan con Norbert sul treno che li porta in Russia, dopo la condanna dei suoi uomini per la rapina e i delitti commessi: "Un soldato affronta un treno blindato ma scappa all'idea di affrontare il coltello. Noi usavamo il coltello, li guardavamo negli occhi e li ammazzavamo. Sparare a qualcuno nel mucchio quando la trincea è con il grilletto pronto è facile. Le bombe, i cannoni, sparare alla cieca sono capaci tutti. Uccidere qualcuno fregandosene del reggimento è questo il vero soldato. Noi l'abbiamo fatto ed eravamo in 3000. L'abbiamo vinta noi questa guerra. In 3000. E gli altri? Gli altri l'hanno fatta!"  La rabbia di Conan si rivolge contro l'ipocrisia, la stupidità, l'inettitudine, l'arroganza, il cinismo e la vigliaccheria dei suoi generali, bravi a sfruttare quei suoi uomini per le imprese più pericolose e ardite, necessarie a coprire loro le spalle e soprattutto a portare loro gloria e successo ma altrettanto abili ad abbandonarli al loro triste destino quando sembrano "battelli alla deriva, una banda di burattini senza uno scopo", anzi disposti pure a condannarli, perché come dice il generale Pitard de Lauzier il cui principale interesse pare essere quello di avere una tavola sempre ben imbandita, "Bisognerebbe fucilarne qualcuno come monito!". Tavernier non fa sconti ("Se pensi a quei generali che ne hanno mandati 80000 al macello" fa dire al suo protagonista), è spietato quanto il suo Conan nell'evidenziare la follia disumanizzante e bestiale della guerra, a tratti tagliente e beffardo (l'episodio della celebrazione della fine della guerra con la Marsigliese suonata in modo inascoltabile, il retorico discorso del generale sotto una pioggia scrosciante, i soldati malati di dissenteria che lasciano la cerimonia per correre al gabinetto). Come talvolta gli capita, il regista forse carica troppo la vicenda (l'episodio del giovane Jean Erlane, soldato accusato di codardia dal suo superiore e che sul fronte russo trova il riscatto con la morte, pur intenso e ben strutturato non sembra essenziale ai fini del racconto), alcuni personaggi si avvicinano pericolosamente alla macchietta (per esempio il generale Pitard de Lauzier, interpretato peraltro da un notevole Claude Rich), le critiche alle alte sfere militari non sono nuove, ricordando molto quanto già espresso con identica forza e lucidità in "La vita e niente altro" dove il comandante Dellaplane si scontrava con l'ottusità di chi gli chiedeva di recuperare un corpo necessariamente francese per la celebrazione del milite ignoto. Eppure "Capitan Conan" ha una carica emotiva, una densità narrativa, un impegno civile e una onestà di intenti invidiabili. Se "La vita e niente altro" era un caloroso monito a non dimenticare gli orrori della guerra, come ben suggerivano le ultime struggenti parole della lettera inviata dal maggiore Dellaplane all'amata Irene a proposito della sfilata delle truppe vittoriose sui Campi Elisi, "Capitan Conan" è un straziante grido di dolore sui mali nefasti che quegli orrori bellici lasciano in chi li ha vissuti. Impreziosito dalle magnifiche prove di Philippe Torreton e Samuel Le Bihan, degni del monumentale Philippe Noiret del film del 1989 ed alle prese con due personaggi definiti, come sempre in Tavernier, in maniera superba ed assai convincente, il film diventa un fulgido ed emozionante esempio di cinema antiretorico, scritto benissimo, diretto in stato di grazia e capace di ricordarci con sofferta e commovente franchezza come chi ha fatto della guerra la sua unica ragione di vita, proprio nel ritorno alla normalità vive il suo incubo peggiore. Dice infatti Conan a Norbert: "Bisogna adattarsi è questo il problema: comanda a un cane di adattarsi all'insalata e vedrai." Già: è come chiedere a un lupo di diventare un cane lupo. Dirompente. Tratto dal romanzo di Roger Vercel. Delle ben 9 nominations ai César solo due, ma comunque pesanti, si sono concretizzate in premio: per la regia di Tavernier e l'interpretazione di Torreton. Gran Premio a France Cinema nel 1997, premiato anche al Festival di San Sebastian.

Voto: 8

 

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