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L'inglese che salì la collina e scese dalla montagna

Regia di Christopher Monger vedi scheda film

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La recensione su L'inglese che salì la collina e scese dalla montagna

di M Valdemar
8 stelle

Terra fiera e strana il Galles. Terra straniera. Gli inglesi sono senz’altro stranieri, per i gallesi. La loro lingua è un incomprensibile miscellanea di consonanti e suoni. Sembra “alieno”.
 
L’inglese che salì la collina e scese da una montagna è una commedia perfetta, attraversata in lungo e in largo da quel fantastico e distintivo umorismo, che è l’humor inglese. Semplice, e per quanto assurda, tratta da una storia vera.
Che un nonno racconta a suo nipote, e la sua voce off nel film, ne spiegherà e motiverà alcuni passi salienti.
E’ il 1917, durante la prima guerra mondiale: due cartografi inglese, il borioso e trippone Garrad (Ian McNeice) e il suo giovane assistente Anson (Hugh Grant), giungono in un piccolo villaggio del Galles, “Ffynnon Garw”, per misurare una collinetta che per gli indigeni è una montagna; i due dovranno verificare se supera i mille piedi, e quindi certificarla come montagna o declassarla a collina. Il responso è presto fatto: 984 piedi!
L’incredulità degli abitanti del luogo diviene subito rabbia: ciò può apparire ai nostri occhi pretestuoso e fatuo, ma è ben chiarito dalla voce off:
Erano tempi tristi. Ci avevano portato via figli, mariti. La comunità si stava lentamente disgregando. Come avremmo potuto guardare in faccia i reduci se non avessero ritrovato la loro montagna? se mentre loro combattevano i tedeschi noi ci fossimo lasciati portar via la montagna dagli inglesi! Avevano già rovinato il nostro villaggio e ora ci defraudavano della nostra montagna e della nostra identità di gallesi.

E, con l’ottuso orgoglio che gli è proprio, decidono di far “lievitare” Ffynnon Garw fino a raggiungere la fatidica e famigerata quota. Il tutto avviene in un’assemblea nella casa comunale, convocata urgentissimamente: alla prima, evanescente, proposta, avanzata dal Reverendo Jones (Kenneth Griffith) di firmare una petizione, gli risponde il furbo Morgan “Il Montone” (Colm Meaney), incallito puttaniere, ricattatore e proprietario della locanda (“antro di iniquità“, come definita dal reverendo), ove alloggiano i cartografi:

<<Se “Ffynnon Garw” dev’essere alta mille piedi, allora io dico facciamola alta mille piedi. Venti piedi, ecco quanto ci manca. Un mucchietto di terra e abbiamo la nostra montagna!>>

E, ai primi tentativi del reverendo di tirare fuori una questione “morale”, Morgan ribatte:

<<Morale. Legale. Beh, quanto è legale allora dire che mille piedi fanno una montagna e 984 no, eh?!>> Applausi.

Dunque la decisione è presa, con l’avallo del reverendo, e tutti s’affaccendano a scavare e trasportare terra, e i due inglesi dovranno ripetere la misurazione.
Morgan “Il montone” si darà da fare per trattenere alla sua locanda i due sudditi di sua Maestà, compreso organizzare un sabotaggio alla loro autovettura e convocare di gran corsa una delle sue amanti, la bella Betty (Tara Fitzgerald), con l’obiettivo di circuire e abbindolare Garrad e Anson. Quest’ultimo non sarà affatto immune dal suo fascino …

L’inglese che salì la collina e scese da una montagna è tutto qui. Una storiella semplice e geniale, brillantemente scritta dallo stesso regista.
Il tutto è continuamente sottolineato dal detto fine e sagace umorismo, con dei dialoghi e dei personaggi superbi. In particolare, sono imperdibili e impagabili, i battibecchi tra Morgan “Il montone” e il Reverendo Jones. Uno per tutti:
Morgan (con faccia sfottente): <<Ah, buongiorno Reverendo Jones. Vedo che Dio è nei suoi cieli e tutto va bene nel mondo.>>
Reverendo Jones (con la stizza dell’uomo di Dio): <<Ma non hai nessuna vergona?>>
E Morgan: <<No.>> (e poi tastandosi): <<Oh, non mi ricordo più dove l’ho messa! Ahh>>

I due sono sicuramente personaggi azzeccatissimi, dai contorni e dai risvolti ben delineati. Altri pazzeschi individui compongono la incredibile fauna degli indigeni, a partire dai due fratelli Thomas “Tocco” e Thomas “Tocco 2”, che così si presentano:
<< Non abbiamo istruzione e molta gente dice che siamo tonti, ma non siamo così tonti da non sapere che siamo tocchi>>


Colm Meaney è un fuoriclasse fottuto, alticcio e dalla autentica faccia di bronzo; il suo Morgan “Il montone” è un cialtrone nato, approfittatore ingegnoso, battute, sberleffi e uccello sempre pronti. Altra scena dimostratrice del particolare carattere del suo personaggio, è con Betty (una splendida e misurata Tara Fitzgerald):

Morgan <<solo una mappa? Le mappe, cara Betty, sono la … biancheria intima di una nazione. Danno la forma ai continenti>>, mentre la cinge da dietro e le tasta le tette …

Tutti gli attori offrono prove splendide, da uno straordinario Kenneth griffith (il reverendo) al superbo Ian McNeice (Garrad), già visto in tanti film, indimenticabile lardoso e laido in “Fuga da Absolom”; persino l’altrove insopportabile Hugh Grant è bravo e funzionale, pur con tutto il suo abituale repertorio di mossette, espressioni e balbettii.
Note di merito sono senz’altro la musica, avvolgente e puntuale, e la fotografia, precisa nell’illustrare con grazia i colori che la tipica campagna inglese offre.


Ultima considerazione: appena visto il film mi è venuto in mente un vecchio numero di Dylan Dog, che ho prontamente riletto: è il numero 136 “Lassù qualcuno ci chiama”. E’ uno dei più belli (e ricercati) scritti da Sclavi. Prende decisamente spunto dal presente film, sin dall’ambientazione (un paesino gallese, “Llangwntffrwd Yng Ngwynf“), dai personaggi (c’è un locandiere, Gamorgan, con le fattezze di Meaney) e dalla bizzarria che contraddistingue i gagliardi gallesi e alcune loro ossessioni: una collina (“Anàm Fior”) che per gli indigeni è una montagna, e Dylan e Groucho che vengono scambiati per due funzionari del Reale Ufficio Topografico…
Con un inatteso omaggio a Umberto Eco, nei panni del professor Humbert Coe, da un cui monologo è tratto quanto segue:
Il Galles è fra le terre più antiche del mondo … ci sono qui alcune rocce che si formarono più di tre miliardi di anni fa … E sono sempre qui, ancora le stesse … Le pietre sono la memoria del mondo … Loro si che hanno sentito la prima lingua parlata dall’uomo … forse era veramente una specie di musica, di canto … e riascoltare quel canto è sempre stato il mio sogno … sono convinto che basterebbe poco … uno stato alterato della coscienza, un salto nella memoria ancestrale … magari dopo essere saliti su una collinetta che si ricorda di quand’era, davvero, una grande montagna …

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