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Maccheroni

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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La recensione su Maccheroni

di LorCio
6 stelle

Il percorso artistico di Ettore Scola dietro la macchina da presa è identificabile col procedere degli anni; meglio ancora, ogni decennio della sua carriera cinquantennale rappresenta un movimento particolare della stessa carriera, un certo mood abbastanza evidente che abbraccia quasi tutti i film realizzato nell’arco della decade. Nella fattispecie: gli anni sessanta sono gli anni degli esordi, in cui il talento dello sceneggiatore, passato casualmente alla regia, è al servizio del “mostro” di turno (prevalentemente Gassman, ma anche Manfredi, Sordi e Tognazzi); i settanta si segnala come il decennio di “dominio del genere” (le rielaborazione della commedia nelle sue derivazioni melodrammatiche, gialle, emigratorie, borgatare) e di una prima riflessione sul passato; gli ottanta come anni di un permanente discorso sul passato e sulle sue conseguenze; i novanta il momento della confusione ideologica e della stasi creativa; e il nuovo millennio con piccole note a margine.

 

 

Soffermiamoci sui fertili (per Scola) anni ottanta: La terrazza è il plateale bilancio di una generazione autocompiaciuta e fallimentare; Passione d’amore una parentesi d’amore scapigliato; Il mondo nuovo il ritratto di una classe sociale all’alba del suo tramonto; Ballando ballando una grande ballata sul tempo che scorre; La famiglia il capolavoro intimista e minimalista sul secolo breve; Splendor un lamentoso e malriuscito benché doveroso atto d’amore nei confronti della sala cinematografica; e Che ora è il bilancio di un complicato rapporto tra padre e figlio. Insomma: gli anni ottanta per Scola sono gli anni della riflessione sul tempo che passa.

Cuore del racconto scoliano, il tempo è al centro di questo Maccheroni, che si colloca a sua volta a metà del decennio. Ora, il discorso deve necessariamente prendere due strade. La prima strada è squisitamente narrativa: qual è l’interesse di Scola, Ruggero Maccari e Furio Scarpelli se non quello di raccontare come una grande menzogna possa procurare felicità nelle piccole vite di persone umili, modeste e segnate da una grande tragedia collettiva? La storia è quella di un impiegato napoletano che per quarant’anni ha scritto finte lettere ai familiari spacciandosi per il giovane soldato americano che ebbe un flirt con la di lui sorella; quando l’americano giunge a Napoli, ormai ricco industriale sessantenne, scopre la verità e un affetto sconfinato da parte della comunità. Perché tutto ciò è accaduto?

 

 

La trama, di un’esilità abbastanza palese, è l’occasione per affrontare almeno tre temi: Napoli, raffigurata con le luci sporche di Claudio Ragona, nei suoi aspetti più antiretorici ed inconsueti; i sentimenti senza doppi fini, presi per ciò che sono e nella dimensione più intima e sincera; la sceneggiata napoletana che si incontra col melodramma moderno a sua volta contaminato con la commedia all’italiana e con il camorra movie. Temi lontani o comunque poco affini a Scola, eppure messi in scena con dignitoso mestiere nell’intenzione di raccontare una dolceamara storia d’amicizia ritrovata. La seconda strada è puramente commerciale. Dopo tre nomination all’Oscar per il miglior film straniero, Maccheroni, con quel titolo ovviamente internazionale, sarebbe dovuta essere la definitiva consacrazione dell’autore europeo nel mercato americano, complice anche la partecipazione di una star buona per tutte le stagioni come Jack Lemmon e l’attore italiano par excellence Marcello Mastroianni.

 

 

Scelto, tra mille polemiche, per rappresentare l’Italia agli Oscar del 1986, non entrò nella cinquina e inoltre non ebbe il successo sperato. Al di là di questi dati di politica cinematografica, la debolezza del film sta nella sua dimensione ibrida, né italiana da esportazione né rinunciante stereotipi consumati, né commedia né dramma, e nello svolgimento fiacco di una storia che non può che reggersi sulle spalle dei due mostri sacri. Uno Scola senza smalto eppure senza infamia né lode e quindi innocuamente superfluo benché ammirevolmente ambizioso, che raggiunge una certa originalità almeno nello spunto fantasioso delle resurrezioni, puro realismo magico da mistero napoletano.

 

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